Austero con sé, ma tutto carità

Trevi. Si tiene all'abbazia di Farfa un simposio sul beato Placido Riccardi, illustre personaggio trevano

Un simposio sul beato Placido Riccardi. Al monaco benedettino, nato a Trevi, viene dedicata un’intera giornata di studi, il 5 dicembre, presso la sala Schuster dell’abbazia di Santa Maria di Farfa. Sarà presente anche una delegazione trevana. Cogliamo l’occasione per conoscere meglio questo illustre figlio della nostra Chiesa diocesana. Placido Riccardi nacque a Trevi il 24 giugno 1844, terzogenito di 10 figli. Fu battezzato nella chiesa di San Emiliano con il nome di Tommaso. Nel 1853 entrò nel collegio Lucarini di Trevi, retto dai Salesiani. Nel 1862, chiuso il collegio, si pose sotto la direzione spirituale di don Ludovico Pieri, che – ricordiamo – fu anche padre spirituale ed ispiratore del beato Pietro Bonilli. A Roma nell’anno accademico 1865-66 frequentò il corso di filosofia presso i Domenicani alla Minerva. Dopo un pellegrinaggio al santuario di Loreto ed un corso di esercizi spirituali, il 12 novembre 1866 decise di entrare come postulante nell’abbazia benedettina di San Paolo fuori le Mura a Roma. Ammesso al noviziato col nome di Tommaso, il 19 gennaio 1868 fece la professione religiosa prendendo il nome di Placido. Chiamato alla leva, richiese qualche giorno per terminare i suoi esami, ma fu immediatamente dichiarato disertore. Giunto a Spoleto a perorare la sua causa, poiché nel frattempo il Governo piemontese che dominava anche su Roma aveva decretato l’amnistia, si scoprì che il suo caso non vi rientrava e pertanto venne arrestato: era il 5 novembre 1870, alle fonti del Clitunno, mentre rientrava a Trevi. Tradotto a Firenze, fu processato e condannato ad un anno di reclusione, ma poi graziato. Dopo accertamenti medici, fu dichiarato inabile e congedato. Il 7 febbraio 1871 rientrava in San Paolo dove il mese successivo faceva la professione solenne e il 25 marzo veniva consacrato sacerdote. Ebbe vari incarichi: vice maestro degli alunni, maestro dei novizi, vicario abbaziale delle Benedettine di San Magno ad Amelia in due diverse epoche. Mentre lasciava il monastero di Amelia per rientrare a Roma per la sua salute cagionevole, una monaca così scriveva di lui: ‘Don Placido è partito lasciando tutte nel più profondo dolore. Austero con sé stesso, ma tutto carità per noi, specie le malate. La sua carità si stendeva anche presso gli indigenti di Amelia. Le sue virtù hanno destato l’ammirazione di tutta la città’. Successivamente fu mandato come rettore nel monastero di Farfa per cercare di salvare il salvabile. L’abbazia, infatti, era ridotta in condizioni miserrime. A Farfa, dove restò ininterrottamente per 20 anni, si ebbe l’apoteosi dell’umiliazione e del trionfo della santità di don Placido. Il religioso si dedicò ad una vita di intensa preghiera e zelo apostolico per le popolazioni vicine. Don Placido rivolse la sua attenzione alla gente: nella loro estrema indigenza le persone venivano aiutate spiritualmente e materialmente. Nella sua prodigalità don Placido si rammaricava di non possedere più neanche i propri effetti personali da donare ai poveri. Nel 1912 il suo fisico, già da sempre poco florido, ulteriormente fiaccato da una vita di penitenze e di privazioni, era tanto debilitato che dovette essere ricondotto a Roma. Nella capitale visse ancora due anni e mezzo, assistito dal suo discepolo ed amico don Ildefonso Schuster, poi cardinale arcivescovo di Milano e suo biografo.