Bagno turco

Di bagni ne esistono molti, e di molte specie. A partire da quello più comune, quello dove va da solo anche l’Imperatore ( e – sit venia verbis – anche Berlusconi); è il bagno di gran lunga il più importante, almeno per noi prostatici spesso impegnati, nel quotidiano, a raggiungerlo nel più breve tempo possibile, e sul piano generale a ritardare quanto più si può l’era del pannolone. Ma quanti altri tipi di bagno! Il bagno galvanico, il bagno di folla, il bagno di sangue, il bagno penale. Personalmente sto facendo l’esperienza del bagno turco. Prima aria secca e molto calda, subito dopo, mediata a volte da un massaggio, immersione in acque gelide. Dicono che sia una forma nobile di terapia. Sarà. A me sembra piuttosto una scorciatoia per arrivare prima all’ultimo viaggio, quello in Mercedes e con i piedi in avanti. Sarà. Per mia fortuna il bagno turco che mi riguarda è del tutto metaforico. Consiste nel passaggio repentino dalla lettura di Adista alla lettura di 30 Giorni. Adista, ne ho già parlato, è la rivistina frequente e petulante di un rauco gruppo di cattolici di sinistra, e io ci sono abbonato, e la leggo (meglio: la sbircio) da decenni: non foss’altro come antidoto contro il conformismo chiesastico che oggi dilaga, penosa caricatura dell’autentica obbedienza ecclesiale. 30 Giorni è una rivista di Cl, patinata, monumentalmente diretta da Giulio Andreotti, e io me la procuro evitando di comprarla. Leggere le due riviste una in fila all’altra equivale davvero ad un bagno turco. Se un giorno atterrasse sullo Stivale un marziano, e sapesse che una delle più grandi realtà associate del globo terracqueo è la Chiesa cattolica, e ne chiedesse notizia alla due redazioni, quella di Adista e quella di 30 Giorni’ dalla prima apprenderebbe che la Chiesa cattolica è la sentina di tutti i vizi e il contenitore di tutte le trame, e che l’attività principale del suo establishment è quella di castrare i poveri omosessuali che vogliono diventare preti, e di prendere a mazzate sulle gengive i divorziati risposati che vogliono accostarsi all’eucaristia; dall’altra invece saprebbe che la Chiesa è una comunità angelica, dove tutti i leader sono buoni per contratto, e la nomina a monsignore comporta anche lo spontaneo spuntare di due alucce angeliche, sotto le ascelle, per librarsi nei cieli limpidi della purità vuoi rituale, vuoi cultuale, vuoi quello che vuoi. L’obbedienza ecclesiale è ugualmente distante dal servilismo strisciante e dalla contestazione a priori. I nostri Pastori, a forza di parlare di ‘servizio’, rischiano di ridursi a uomini di potere, e in questo possono far conto sulla spessa cortina d’incenso e di adulazione che qualcuno di noi tiene in serbo per loro. Il restiti in faciem Petri di san Paolo va in coppia con il suo bisogno di confrontarsi, nell’atto di intraprendere la sua portentosa predicazione, con Pietro e i Dodici.

AUTORE: Angelo M. Fanucci