Bambini di Gaza e altrove

L'editoriale

Nei venti giorni di guerra dichiarata e guerreggiata dallo Stato d’Israele contro i miliziani di Hamas nella Striscia di Gaza e nella stessa Gaza City, sono rimaste vittima dei bombardamenti moltissime, troppe, persone civili, di ogni età. Al centro dell’attenzione mondiale vi sono soprattutto i bambini. Non diamo le cifre, che ogni giorno cambiano e si aggiornano nei bollettini di guerra dei telegiornali. Una popolazione raccolta in uno spazio territoriale limitato (40 km per 10 circa) ad alta densità abitativa risulta un bersaglio facile ed eccessivo. Quando c’è guerra e violenza, i primi a soffrirne sono proprio i bambini e i ragazzi, impediti di muoversi per le strade e nelle piazze, esposti più degli adulti per la loro nativa imprudenza e spensieratezza che li rende sprezzanti del pericolo. Ci sono anche i bambini israeliani che insieme alle loro famiglie soffrono di uno stato di guerra che dura da decenni. Alcuni commentatori, riandando alla nascita dello Stato d’Israele, hanno descritto il conflitto in atto come ‘un episodio della Guerra dei cento anni’, computando i sessanta passati e i prossimi quaranta, in base a catastrofiche previsioni.

Una situazione di sofferenza simile, notata da Forbice su un quotidiano di mercoledì scorso, anche se non paragonabile, la vivono anche i bambini israeliani, sempre sotto il terrore di essere colpiti dai razzi di Hamas. Anche a scuola sono costretti a stare dentro rifugi o bunker appositamente attrezzati. Sono consapevole che chi dice queste cose si espone alla critica di mettere sullo stesso piano israeliani e palestinesi, come se fosse cosa ovvia. Non entriamo nella questione che divide il mondo. Se si dice ad esempio, con il card. Martino, che gli abitanti di Gaza sono stretti come in un campo di concentramento senza possibilità di muoversi e di uscire, si è classificati anti-israeliani e magari anche antisemiti. Se si sottolinea, invece, che Hamas spara razzi per colpire indiscriminatamente la popolazione ebraica e che si serve della popolazione come scudo umano per tutelare capi di nuclei armati e depositi di armi, ci si trova ugualmente scomodi ed incompresi.

La posizione giusta è quella indicata da Benedetto XVI che parla, invoca e fa appello alla riconciliazione, alla pace, invita a trattare attorno ad un tavolo, alla ricerca del bene massimo possibile dei due popoli. È anche la posizione delle persone di buon senso, che ritengono per esperienza convalidata nei secoli che le guerre e le violenze portino danni irreversibili per la perdita di vite umane, che è la massima perdita pensabile; e se ottengono qualche risultato, pure scarso e precario, questo si potrebbe ottenere con una seria e realistica trattativa. Il realismo non può venir mai meno rispetto a qualunque ideale possibile. Hamas non potrà pensare di distruggere lo Stato d’Israele, e Israele non potrà pensare di costringere con la forza i palestinesi dentro una riserva circondata da un muro. In un Salmo si dice: “Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai ricevuto lode” (Sal 8,3). Ora si può aggiungere: “Dalle vittime innocenti e dal loro sangue salga un appello a fermare la strage”. Bambini in sofferenza ci sono anche altrove, moltissimi “altrove”. Di questi, per ora, lasciamo solo il triste pensiero.

AUTORE: Elio Bromuri