Braccio di ferro tra Regione e Governo sull’elettrosmog

APPROVATA E BOCCIATA PER LA SECONDA VOLTA LA LEGGE REGIONALE, PRIMA IN ITALIA

La legge regionale sull’elettrosmog non passa l’esame governativo. Per la seconda volta il commissario di Governo non ha accolto la versione del Consiglio regionale che sembrerebbe prevaricare le competenze nazionali. E’ partito il ricorso davanti alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimità del provvedimento approvato dall’assemblea, in seconda istanza, il 30 luglio scorso. Torniamo indietro per un momento. L’Umbria è una delle prime regioni italiane a legiferare sulla materia – tanto delicata per i suoi effetti sulla salute dei cittadini – dopo l’applicazione della legge quadro nazionale del febbraio 2001. Il testo normativo approvato il 21 maggio scorso dal Consiglio umbro è stato rinviato dal commissario di governo. Con qualche modifica la legge era stata poi di nuovo votata a maggioranza alla fine di luglio. Ora c’è l’ultimo atto. Se la Corte costituzionale boccia la legge bisogna ricominciare daccapo. E’ in atto un attacco all’autonomia delle regioni oppure si vuole “esagerare” nel non prendere in considerazione i rilievi governativi? Nel ricorso alla suprema corte dall’Avvocato dello stato si contesta l’articolo 2 che “richiede ai gestori e ai concessionari la dimostrazione delle ragioni obiettive della indispensabilità degli impianti ai fini della operatività del servizio” perché si osserva che “gli operatori sono imprese che operano con criteri economici e, quindi, per definizione non interessate ad eseguire opere, tra l’altro molto costose, se queste non sono necessarie per i propri fini produttivi”. Questo articolo “avrebbe potuto avere una sua funzione se poi la regione avesse potuto giudicare la indispensabilità degli impianti e il loro carattere obiettivo” ma la Regione – secondo il Commissario di governo – “non ha questi poteri”. L’Ente regionale – per l’organo di controllo – “è competente ad esprimersi sulla compatibilità ambientale e sulla tutela della salute dei cittadini, ma non ha nessuna possibilità di verificare la economicità dell’iniziativa”. Quindi non si può discutere sulle scelte dei gestori che investono. Sotto accusa anche l’articolo 5 che attribuisce alla Giunta regionale “il potere di fissare con regolamento i criteri per l’elaborazione e l’attuazione dei piani di risanamento degli impianti radioelettrici, di telefonia mobile e di radiodiffusione”. Il Governo ritiene che i piani di risanamento non siano di competenza delle regioni e che, quindi, c’è un contrasto con la legge nazionale. Secondo il Commissario di governo “la Regione non può intervenire sui pericoli da inquinamento elettromagnetico prima che lo Stato abbia fissato i livelli consentiti di emissione”. Ci vuole dunque un criterio uniforme in tutto lo Stato. Altrimenti – si rileva nel ricorso – “si arriverebbe alla conclusione che ogni regione potrebbe prevedere criteri propri, non uniformi, dando per presupposto che la struttura biologica dei propri abitanti e la loro capacità di resistenza siano diversi”. Secco “no” anche sull’articolo 21 che impone la procedura di Valutazione dell’impatto ambientale (Via). “Non è prerogativa delle regioni prevedere la Via – ha sottolineato l’avvocato dello Stato – non solo manca la base normativa per le attribuzioni regionali, ma per queste c’è un’espressa smentita normativa. Gli impianti radioelettrici e di radiodiffusione non sono tra quelli che un decreto del 1996 e la direttiva Cee del 1997 sottopongono a Via”. Le attribuzioni in materia sono dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni che può fissare la localizzazione degli impianti con un piano articolato sul quale le regioni possono esprimere “un loro punto di vista anche per quanto riguarda gli effetti ambientali”. Resta escluso, secondo il Governo, che ogni regione possa valutare autonomamente le determinazioni del piano “con la possibilità che ne possa provenire un danno anche ad altre regioni”. Le motivazioni appaiono durissime, quasi sarcastiche. La decisione del Governo di ricorrere alla Corte costituzionale ha provocato una serie di reazioni di diverso tenore. Secondo Angelo Velatta dei Verdi ecologisti, si tratta di “un atto grave e infondato” ed è in forte contraddizione con i principi del federalismo. Pietro Laffranco ha ricordato “l’eccessiva fretta dimostrata dalla Giunta regionale e dalla maggioranza di sinistra nell’accorciare i tempi di approvazione” della normativa. Per il vicepresidente e assessore all’Ambiente della Giunta regionale dell’Umbria, Danilo Monelli, “nella riapprovazione da parte del Consiglio regionale si era tenuto conto delle osservazioni mosse dal governo, alle quali si è specificatamente dato seguito. Non è interesse di questa regione – ha precisato Monelli – fare leggi capestro o vessatorie, bensì esercitare un proprio diritto a favore della collettività”.

AUTORE: E.Q.