Ça suffit

DON ANGELO fanucciBasta così, è durata anche troppo l’impertinente suggestione con la quale ho tentato di subornare i miei 17 lettori a proposito di come potrebbero eventualmente mutare certe parole e certe frasi di quella celebrazione eucaristica che è (dovrebbe essere) il centro della nostra vita. Dico l’ultima, pardon… le ultime due, e mi taccio. Ça suffit.
Nella II Preghiera eucaristica, dopo la consacrazione veniamo invitati a offrire, ringraziare e pregare perché lo Spirito santo ci riunisca in un solo corpo. “Ci”, complemento oggetto: a chi si riferisce? Il testo lo dice subito dopo: “Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore, in unione con il nostro Papa Francesco, il nostro Vescovo Mario e tutto l’ordine sacerdotale”. Ci fermiamo qui? Non manca qualcuno? Cos’è? Un rimasuglio di quella distinzione fra Chiesa docente e Chiesa discente, e del relativo bisogno di pregare per la Chiesa docente, vista la pesantezza dell’onere che istituzionalmente le compete, mentre la Chiesa discente, se rimane in un angolo e magari fa crocchiare le dita e sbadiglia un po’… non è poi un gran male?
Infine, quello che una volta chiamavamo “il memento dei morti”: “Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza”. Chi sono “i defunti che si affidano alla tua clemenza”? Dipende. Dipende dal valore che diamo a quel “si”, particula malignantis naturae.
Se quel “si” ha valore passivante, vuol dire che preghiamo per coloro che vengono affidati alla misericordia di Dio da noi che partecipiamo alla messa.
Ma se quel “si” dovesse avere valore riflessivo, vorrebbe dire che preghiamo per coloro che hanno affidato se stessi alla misericordia di Dio. E se è così, scusatemi ma io non ci sto. Perché dovrei rinunciare a “E. C.”, che a Dio sicuramente non si è mai affidato.
Tanti anni fa. Era uno dei miei ragazzi, E. C., e si suicidò in un modo molto particolare. Lo mise in atto nella casa di campagna dei suoi genitori, da anni disabitata; in piedi sulla balaustra in legno che dava sull’esterno, con la corda al collo si lanciò nel vuoto dopo aver dato fuoco alla casa e al tempo stesso con due pistole si sparò ad ambedue le tempie.
Caro E. C.! Il ciuffo ribelle, l’andatura nervosa, la battuta prontissima. Generosissimo. E poi quando aveva davanti a sé un pianoforte, lo faceva cantare come non aveva mai cantato.
Quando il feretro arrivò nel piazzale antistante il cimitero, eravamo tre o quattro amici ad attenderlo, nel gran caldo del primo pomeriggio estivo. Mentre portavamo la bara nella camera mortuaria, e il dolore batteva dentro come un tuono da brividi, un pensiero solo occupava tutta la mia mente: “Dio sa scrivere diritto anche sulle righe storte”

AUTORE: Angelo Maria Fanucci