Che fare per salvare la Città

editoriale

Le nostre città stanno morendo. Nelle 600 città che nel 2025 garantiranno più della metà del Pil globale, neppure una sta tra il Po e Lampedusa. Chi gira per le nostre città vede sempre più anziani e negozi chiusi. Togliamo alle nostre città la pubblica amministrazione, quanto resta? Il “piccolo” era bello in altri tempi…Che fare? Un progetto? Per carità, no. Il cambiamento è ormai tanto veloce da rendere ridicolo ogni progetto di città. Le città che crescono o si riprendono non lo fanno seguendo progetti, ma sfruttando sostanzialmente una condizione. La città vitale di oggi e del futuro prossimo non è altro che una straordinaria concentrazione di gente colta e capace (skilled people) in regime di prossimità (face to face). Questa è la condizione dell’economia della conoscenza, l’unica che in questa parte di mondo può tirarsi dietro altri processi economici virtuosi. (Il cachemire, l’aerospaziale e gli acciai speciali sono degli esempi che possiamo trovare senza andare troppo lontano). La prossimità attiva di tanta gente colta e capace genera domanda di servizi di qualità (da quelli per l’infanzia a quelli finanziari) e produce un costante sovrappiù di idee cantierabili. Di qui nasce un unico futuro realistico, e mai prevedibile con troppo anticipo. Che si può fare per attirare gente del genere? Prima di tutto far fuori politici impiccioni che pretendono di intermediare tutto e di far questo di mestiere. Come la vecchia nobilità, questa politica è un impiccio. Ma oggi nessuno perde più tempo a fare la rivoluzione. Semplicemente va da un’altra parte. E poi altre tre cose si possono fare per fare vivere e rivivere una città (cfr. E. Glaeser, Triumph of the City): strade sicure, trasporti veloci, ottime scuole. Gli immigrati sono la forza della vita cittadina. Respingerli significa condannarsi all’asfissìa. Ma è un suicidio pensare che la integrazione sia un fenomeno spontaneo. La paura va rispettata. Chi arriva deve trovare una identità chiara, poche regole, sanzioni certe. Chi viene deve stare al gioco, ma il gioco deve esserci. La città cresce quando è nodo. La forza della città è il “faccia a faccia”, ma agli appuntamenti si deve poter arrivare in tempo. Sia che ci si muova dentro la città, sia che si arrivi da molto lontano. I trasporti sono oggi immensamente più sicuri, più confortevoli, più economici e più veloci. Ma se non ci sono aeroporti, parcheggi o stazioni, i flussi vitali magari ti sfiorano, ma di fatto ti ignorano. E scuole! Ottime scuole. E chi le fa le ottime scuole? I grandi professionisti dell’insegnamento assunti da istituzioni sociali che hanno qualcosa da dire ai giovani. Che hanno convinzioni che motivano autorità. Certo che la scuola di Stato può avere un ruolo (anche se non ha diritto ad alcun monopolio), ma non una scuola fatta solo per i docenti. Compito della scuola è istruire e contribuire ad educare. Se è il caso deve bocciare, altrimenti non insegna nulla e lascia l’impressione che nulla conti davvero. Compito di chi fa asili, scuole ed università è selezionare i docenti migliori, e poi pagarli come Dio comanda. Queste scuole attirano i capaci e i meritevoli, incrementano la dotazione di skilled people di un territorio. Più ce ne sono, meglio è. Più sono diverse, meglio è. E se competono, meglio. E anche la Chiesa deve darsi una regolata! Basta con il buonismo da sagra patronale. Basta con i laici inghiottiti dalle sagrestie (di sola pastorale si muore). Dove è finito l’apostolato dei laici? Se un laico non sta già “nel mondo”, cosa di buono può fare “in chiesa”? Può solo fare compagnia al prete.

AUTORE: Luca Diotallevi