Chi salverà l’Università?

I 'tagli' colpiscono pesantemente l'ateneo perugino

Tira un’aria pesante sullo Studium Generalis di Perugia. Il 24 novembre il Magnifico rettore ha tratteggiato le linee generali della situazione economica e gestionale ad un’assemblea partecipativa con tutte le componenti dell’Ateneo, poi il giorno successivo il Senato accademico ha affrontato il nodo delle linee portanti del bilancio preventivo 2009. A quanto risulta, per effetto dei tagli al fondo di finanziamento ordinario operati dal Governo, accanto alla lieve flessione del numero degli iscritti e quindi della tasse, ad una rivendicazione economica vinta in Cassazione dai tecnici laureati e ad altre cause minori, per il 2009 ci saranno circa 15 milioni di euro in meno rispetto al bilancio consolidato 2008 (circa 187 milioni). La situazione sarebbe poi ancora più disastrosa nel 2010, con il rischio di non poter avviare l’anno accademico. A fronte di questa pesante congiuntura, potrebbe esserci una boccata di ossigeno per le casse dell’Ateneo di Perugia qualora esso riesca a classificarsi tra gli atenei virtuosi che dovrebbero spartirsi i 550 milioni di euro scorporati a monte dal fondo di finanziamento ordinario (circa il 7% del totale). Tuttavia, il risultato di questa ripartizione sarà nota solo a metà del prossimo anno, mentre il bilancio va impostato subito. Da questo contesto scaturiscono le misure draconiane legate al blocco di fatto del turn-over, alla impossibilità di concedere proroghe di permanenza in servizio ai docenti ed ai tecnici a fine carriera, ai tagli pesanti dei fondi per la ricerca, le borse di dottorato, gli assegni di ricerca. Risulta perciò che, malgrado i lievi correttivi apportati nelle settimane passate dal Governo ai primi provvedimenti annunciati, la situazione rimane di forte gravità, dal momento che anche università virtuose sotto il profilo gestionale ed eccellenti dal punto di vista scientifico rischiano di vedersi comunque strangolare dai tagli governativi, che prescindono in larga misura da una valutazione nel merito delle singole istituzioni. Essi sembrano dettati infatti dall’esigenza di fare cassa in modo rapido, senza andare troppo per il sottile distinguendo tra chi meriti i tagli e chi no. Operando in questo modo, a fronte della crisi economica globale di queste ultime settimane, si rischia a mio giudizio di dare il colpo mortale alla capacità di reazione del nostro Paese, malato di inefficienza e scarsa competitività: investire nell’istruzione e nell’educazione dei giovani, nella ricerca e nell’innovazione è invece la cura migliore da mettere in campo. In secondo luogo, è probabilmente vero che occorre razionalizzare l’offerta di corsi e di sedi universitarie. Bisognerebbe allora proporre interventi ‘chirurgici’ volti a tagliare i rami secchi ed inibire le scelte avventate. Questo sta già peraltro avvenendo, almeno sul fronte dell’offerta didattica e delle sedi decentrate, per effetto dei cosiddetti ‘requisiti minimi’ richiesti dall’applicazione della legge 270 (approvata nel 2004 sotto il ministro Moratti e applicata nel 2007 dal ministro Mussi, quindi in sostanza condivisa in modo bipartisan). Si proceda dunque ad una valutazione dei comportamenti gestionali e ad una selezione delle eccellenze, nel più breve tempo possibile, sfruttando i dati già disponibili dal sistema di valutazione e rinforzando quest’ultimo. Potrà così instaurarsi un ciclo positivo per cui i finanziamenti statali innescheranno comportamenti virtuosi, i quali a loro volta alimenteranno il flusso di finanziamenti. Viceversa, le istituzioni che risulteranno mal gestite o scientificamente mediocri saranno sempre più penalizzate, fino eventualmente ad essere cancellate. Sullo sfondo di questo processo di riforma si staglia la possibilità – che è stata teoricamente data alle Università – di reperire fondi sul mercato e trasformarsi in fondazioni private. In linea di principio potrebbe essere interessante, soprattutto per chi vede con favore la sussidiarietà ed il ruolo attivo dei corpi intermedi nella società. Tuttavia, la nostra esperienza, come quella dei Paesi a noi affini, dimostra che non è pensabile sul breve periodo trovare un imprenditore ‘così pazzo’ da finanziare le spese correnti di un ateneo o di una scuola che, per definizione, non sono in grado di restituire utili. Dunque anche l’eventuale cammino nella direzione della trasformazione in fondazione non sembra né scontato, né immediato per la generalità degli atenei italiani, ma va eventualmente accompagnato e sostenuto sia sul piano culturale che economico, perché si realizzi sul medio termine in progetti specifici legati a particolari vocazioni territoriali.

AUTORE: Giovanni Carlotti