Chiesa più vicina, Stato più lontano

Na dinamica cui si assiste da quando Francesco è al vertice della Chiesa cattolica è quella dell’avvicinamento, anche fisico, verso il popolo. Se qualcuno ha seguito in diretta televisiva l’udienza di mercoledì scorso (a parte chi era in piazza San Pietro e in via della Conciliazione), avrà notato che è cominciata con dieci minuti di anticipo, per permettere al Papa di fare il giro più lungo tra la gente e di fermarsi più volte durante il percorso a baciare i bambini, stringere mani e benedire personalmente i malati in carrozzella. Una propensione, come detto di avvicinamento, che si potrebbe chiamare volontà di abbraccio. Il Papa sembra intenzionato ad abbracciare e stringere la mano a quanti incontra; e siccome non lo può fare fisicamente, lo esprime come può con gesti e parole. Potremmo definire il suo stile pastorale con termini come volontà di incontro, comunicazione, coinvolgimento, fraternità e paternità insieme, comprensione e compassione. L’avvicinamento trasmesso con gesti esteriori si ritrova anche nelle parole. Parla con semplicità, usa le parole più comuni e popolari anche quando annuncia il Mistero cristiano. Non c’è persona che possa rimanere in difficoltà di comprensione di fronte a nessuna delle sue parole. Alle persone consacrate ha detto di essere e comportarsi da madri “e non da zitelle”, chiedendo scusa per l’uso di una parola che a qualche donna non sposata suona offesa o quanto meno di cattivo gusto. Forse è un eccesso di semplificazione del discorso, determinato anche dal suo essere di lingua madre straniera. Da questo fatto si ha l’impressione che un po’ dappertutto, nelle parrocchie e in generale tra le persone dei vari ambienti anche non religiosi, vi sia un moto di avvicinamento alla vita e alle attività ecclesiali. L’umanità, la benevolenza e la misericordia che Francesco incarna hanno gettato un fascio di luce sull’evento cristiano quale evento di grande umanità e umanizzazione dell’esistenza. Tutto ciò porta per evidente e immediato contrasto a riflettere sulla vita sociale e politica del nostro Paese, ed anche di altri Paesi che si trovano in difficoltà economiche e in crisi politica. Si è visto di sfuggita uno spezzone di ripresa televisiva in cui si mostrava una celebrazione della Pasqua ortodossa in Grecia in cui alcuni erano tenuti lontani e impediti di partecipare al rito religioso, per motivi di ordine pubblico. Qui da noi non è accaduto, ma il momento di crisi non si è allentato e la tensione tra cittadini e gruppi sociali non è attenuata, ma trova sempre nuovi motivi o pretesti per allontanare i cittadini dalle istituzioni. È sotto gli occhi di tutti come le differenze di storia, educazione, formazione e interessi economici e di dominio nella sfera politica siano sempre lì a gettare sulle istituzioni – al contrario di quanto si diceva del Papa – un fascio di sospetti, accuse, critiche, rivendicazioni che minano la solidità delle istituzioni e della stessa democrazia. Quello che sembra incoerente e inconcepibile è la mancanza di osmosi dei valori e delle convinzioni, degli atteggiamenti e dei comportamenti, dall’ambito religioso a quello comportamentale della vita individuale e sociale. Viene all’occhio la discrasia ovvero la divergenza tra ciò che si professa e si sente come positivo nell’ambito religioso e quello che avviene nella sfera politica e sociale, come se fossero due mondi separati e invalicabili. E forse lo sono e lo sono sempre stati, ed è un mistero; ma almeno – come ha scritto un sociologo contemporaneo – se non riusciamo a fare ponti, gettiamo almeno delle passerelle che permettano uno scambio sia pure limitato e provvisorio, ma ugualmente efficace per evitare di rimanere incastrati tra due mondi diversi. In una parola si esige che un avvicinamento tra le persone si realizzi anche all’interno della comunità politica, per il bene di tutti.

AUTORE: Elio Bromuri