La vera sapienza è del Signore

Nell’imminenza dell’inizio del nuovo anno pastorale la Liturgia della 22ma domenica del TO ci propone l’ascolto della Parola che ci orienta per la programmazione di attività proficue e feconde.

Prima lettura

La prima Lettura tratta dal libro del Deuteronomio si apre con la persona di Mosè che sta tenendo il suo primo discorso al popolo d’Israele, ormai prossimo alla conquista della Terra promessa. Mosè invita all’osservanza di quanto il Signore tramite lui ha consegnato al popolo e il contenuto di questa ‘consegna’ è espresso con una ricchezza terminologica insolita tenendo conto della cultura dell’antico ebraismo che presenta un lessico numericamente modesto.

Si parla di ‘leggi’, sostantivo plurale che in ebraico si forma da una radice (hqq) che significa l’‘atto di colui che incide’, ‘leggi’ che corrispondono quindi a brevi testi normativi che venivano incisi su materiali duraturi. Parla anche di ‘norme’ che coinciderebbero con indicazioni etiche regolanti i rapporti dei fratelli della comunità tra di loro. Continuando a leggere il brano compare un terzo sostantivo che è ‘comandi’ (mizwôt), ovvero ulteriori prescrizioni a carattere giuridico. L’insieme della terminologia è resa con il più noto e significativo termine che è ‘parole’ (debarim), termine che più di tutti rispecchia l’‘attività’ del Dio d’Israele che non si ‘vede’, ma fa udire la sua voce. Ma queste ‘parole’ non devono essere alterate (non aggiungerete nulla … non toglierete nulla), anzi, devono essere osservate e messe in pratica fedelmente perché sono il dono dell’amore del Signore affinché il popolo viva ed entri in possesso della terra.

Questa è dunque la caratteristica che distingue Israele dalle altre nazioni: quest’ultime concepiscono le proprie divinità come distanti dal loro vissuto, mentre Israele sperimenta la vicinanza del Signore ogni volta che lo invoca! E inoltre l’insieme delle ‘parole’ costituisce il vanto d’Israele perché nessun’altra nazione ha leggi e norme giuste come quelle che il Signore ha dato al popolo giudaico, ‘parole’ che costituiscono la sapienza e la prudenza agli occhi dei popoli.

LA PAROLA  della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Deuteronomio 4,1-2.6-8

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 14

SECONDA LETTURA
Lettera di Giacomo 1,17-18.21b-22.27

VANGELO
Vangelo di Marco 7,1-8.14-15.21-23

Seconda lettura

Così la seconda lettura tratta dalla Lettera di Giacomo che ascolteremo per alcune domeniche e che ha come finalità proprio quella di far conoscere la vera sapienza che viene solo dal Signore.

Questa sapienza proviene dall’accoglienza docile della Parola che deve essere praticata oltre che ascoltata. Per questo l’autore dà delle indicazioni pratiche come visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze, indicazioni che rimandano alla sapienza del Deuteronomio che prevede tra le altre ancche queste esigenze concrete riguardanti le categorie deboli della comunità (10,18; 14,29; 24,17-21; 26,1213).

Vangelo

Anche la pagina del Vangelo parla di norme e prescrizioni che rimandano alla sapienza cui Gesù chiede di aderire in un modo qualitativamente più elevato.

La scena è ambientata in Galilea e Gesù è accerchiato da farisei e scribi autorevoli che intendono indagare sull’attività del Maestro perché è specificato che sono venuti da Gerusalemme. Ed effettivamente il disappunto viene subito manifestato perché Gesù e i discepoli sono accusati di non aver assecondato le prescrizioni levitiche non lavandosi accuratamente (lett. con il pugno, cioè sfregando le mani chiuse a pugno arrivando fino al gomito). Con ciò il narratore del brano evangelico lascia intendere di rivolgersi ai non israeliti perché continua precisando regole e usi che invece sono scontati per i connazionali di Gesù.

Queste ritualità che potrebbero far pensare a formalità inutili, assolvevano invece una funzione identitaria specie per quella parte di israeliti che, a seguito della dispersione voluta dai babilonesi, continuava a vivere all’interno di altre popolazioni.

Tuttavia, alla domanda dei farisei sul perché Gesù e i suoi discepoli si comportino senza tener conto delle tradizioni degli antichi (cioè delle norme che i rabbini avevano aggiunto alla Legge mosaica) relative alla purità rituale, Gesù risponde citando un brano della Scrittura: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me (Is 29,13). Con ciò per dire che non c’è corrispondenza tra l’agire e i sentimenti del cuore. Allora Gesù non si dilunga più con i farisei, ma chiamata di nuovo la folla, si rivolge ad essa e la tranquillizza facendo presente che non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro.

A questo punto c’è un ulteriore passaggio che tuttavia Gesù riferisce ai soli discepoli lontano dalla folla (anche se quest’ultima informazione non la ascoltiamo perché trattasi di un versetto omesso): è un elenco di dodici vizi che sintetizzano la totalità del male che un uomo può fare a se stesso, agli altri e quindi a Dio. Ma questo elenco di mali non è originato dalla mancata osservanza di atteggiamenti esteriori, ma dal cuore dell’uomo.

È da lì, dalla sede dei sentimenti, dal ‘luogo’ dove tutti i pensieri e le azioni hanno origine che Gesù chiede di ‘ripartire’ estirpando il male prima che sia troppo tardi! ‘Ripartiamo’ anche noi dal cuore e, come scrive il salmista, siamo come colui che dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo.

Giuseppina Bruscolotti