Comuni e province non ci stanno ad aspettare la “riforma della riforma”

APerugia confronto tra il ministro La Loggia e rappresentanti di Regioni ed Enti locali

Attesa concentrata sulla Conferenza unificata del 4 aprile quando i rappresentanti delle Regioni e delle Autonomie locali avranno l’incontro con il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sarà quella l’occasione per far ripartire il dialogo istituzionale che dovrebbe portare alla riapertura della “Cabina di regia” e dei “tavoli tecnici” tra Stato, Regioni, Enti locali, per l’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione. Il ministro per gli Affari regionali Enrico La Loggia, a Perugia per il primo incontro nazionale dei Consigli e delle Conferenze regioni – enti locali, ha caldamente e ripetutamente rilanciato l’invito al dialogo. “E’ falso dire che non vogliamo attuare il Titolo V” anzi, ha aggiunto, “il disegno di legge è a buon punto ed è stato realizzato con il contributo di molte voci tra cui quella delle Regioni” e dovrebbe essere presentato in settimana al Consiglio dei Ministri. Con l’attuazione del Titolo V “affrontiamo una riforma che non ci piace” ha confermato La Loggia, precisando che sarà solo un passaggio che precederà “la riforma della riforma” che richiede tempi più lunghi e potrebbe essere varata, secondo il Ministro, entro un anno, un anno e mezzo. In attesa della “riforma della riforma” cosa faranno Comuni, Province e Comunità montane, alle prese, fin dalla approvazione della legge ‘Bassanini’ del 1990, con il problema del trasferimento di funzioni e risorse dallo Stato e dalle Regioni agli Enti locali? “Secondo il Governo dovremmo stare fermi” ha commentato Fabrizio Clementi coordinatore dell’ “Osservatorio unitario sul federalismo e sui rapporti tra Regioni ed Enti locali”. Clementi ha annunciato al Ministro che “noi, associazioni degli enti locali, siamo pronti a dire a tutti i comuni e le province d’Italia che dal nove novembre, già cinque mesi fa, la riforma della Costituzione è vigente. Quindi con il potere normativo, con la capacità organizzativa amministrativa e anche aprendo un tavolo sulla finanza locale noi siamo pronti ad esercitare le nostre funzioni. Certo – ha concluso – questo significherà anche aprire un contenzioso con lo Stato”.C’è dunque il rischio che si apra un fronte di scontro tra soggetti istituzionali? La parola d’ordine è “evitare il sindacalismo istituzionale” che – per il presidente del Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria, Renato Locchi – “turba in modo grave il confronto politico-istituzionale”. Esito evitabile se il Governo accoglierà la richiesta degli Enti locali di riaprire il dialogo accogliendo le richieste “di metodo ma che sono anche di sostanza” e cioè, puntualizza Clementi, che “ci si sieda intorno al tavolo per trovare insieme soluzioni”. L’apertura di una fase di conflittualità istituzionale danneggerebbe i cittadini che pure fanno difficoltà a comprendere quanto tutto ciò li riguardi. “Non stiamo a discutere del sesso degli angeli” ha detto La Loggia portando l’esempio del cittadino che prende una qualsiasi decisione sulla base di una legge regionale che potrebbe, però, essere impugnata dal Governo (e gli Enti locali chiedono lo stesso potere) dinanzi alla Corte Costituzionale. Con il rischio di creare una grande incertezza in chi deve progettare il proprio futuro e che il Governo vuole evitare “mettendo dei paletti” ovvero definendo in modo preciso le competenze di Stato e Regioni. D’accordo sull’obiettivo la presidente Lorenzetti chiede, a nome delle Regioni, “certezza di competenze sulla base del principio di sussidiarietà e certezza di risorse”, non solo sulla carta ma “in cassa”. A tema al convegno di Perugia c’erano gli Statuti regionali, “occasione per riaprire una nuova fase costituente, in cui venga definito un ruolo chiaro del sistema delle Autonomie locali, – ha detto Locchi – evitando che si determini un nuovo centralismo regionale e creando i presupposti affinché l’organo rappresentativo degli enti locali possa realmente concorrere alla formazione dei principali atti legislativi regionali”. “Sono molto diversificati – ha affermato Alberto Chellini, segretario del Consiglio delle Autonomie della regione Toscana – i modelli di attuazione dei Consigli e delle Conferenze nelle regioni italiane. In poche Regioni (tra cui l’Umbria), si è costruito uno strumento con maggiore autonomia politico-istituzionale. Un elemento di maggior forza potrebbe essere costituito dal riportare all’interno del Consiglio regionale i rapporti interistituzionali tra Regione e Autonomie locali”. La presidente dell’Umbria M.RitaLorenzetti si è detta “contraria all’ipotesi di trasformare i Consigli delle autonomie locali in una “seconda Camera delle Regioni”, invitando a cercare nella scrittura dei nuovi Statuti regionali, una soluzione che da una parte non releghi i Consigli delle autonomie a semplice organo consultivo, e dall’altra parte eviti la duplicazione del Consiglio regionale”. Nel frattempo la via scelta dall’Umbria è quella dei “tavoli di concertazione permanenti con le autonomie funzionali” per il confronto e la discussione delle principali scelte politiche dell’esecutivo regionale”. Le Autonomie locali temono un nuovo centralismo regionale, e non ne fanno mistero, e per combatterlo mettono in campo una delle novità “dirompenti” della riforma costituzionale: il principio per cui gli enti locali hanno tutti pari dignità costituzionale (art. 114). Con le spalle più forti gli Enti locali hanno stilato un decalogo di richieste che dovrebbero trovare risposta negli Statuti: definizione chiara del loro ruolo e funzioni; integrazione della finanza regionale e locale; nuove procedure di programmazione che partano ‘dal basso’; organizzazione del personale; raccordo regioni – autonomie locali; concertazione interistituzionale per la programmazione. I piccoli comuni messi a dura prova dalla nuova CostituzioneLa riorganizzazione dello Stato, con la riforma del Titolo V della Costituzione e ancor prima con la legge Bassanini sul decentramento delle funzioni, sta mettendo a dura prova la resistenza dei piccoli comuni italiani, quelli al di sotto dei cinquemila abitanti. All’incontro degli enti locali, davanti al ministro per gli Affari regionali Enrico La Loggia, una rappresentante dei comuni si è fatta interprete di queste realtà chiedendo che siano “protette”. Se è vero che i comuni sono la struttura portante dello Stato ancor più vero lo sono quelli al di sotto dei cinquemila abitanti: 5.868 municipi, il 72% del totale, che amministrano e rappresentano il 40% della popolazione. Comuni penalizzati dall’attuale legislazione che li costringe ad associarsi in modi diversi rischiando, però, di farne perdere l’identità. In Umbria, su 92 comuni, i ‘piccoli’ sono il 27% (29, di cui 4 in provincia di Terni). Per loro è però in arrivo una buona notizia. Proprio in questi giorni Corrado Passera, amministratore delegato delle Poste Italiane ha annunciato la decisione di “non togliere in nessun comune gli uffici postali”. “Il risanamento e il rilancio delle poste italiane – ha detto Passera – ha nella partnership con la pubblica amministrazione e negli enti locali una delle aree di maggior sviluppo”. Quasi il 20% dei comuni (1.400 su 8mila) ha convenzione con le Poste nel settore Bancoposta; le Poste hanno, tra l’altro, attivato il recapito a domicilio di referti sanitari o la notifica, sempre a casa, di atti quali multe, imposte e pagamenti vari, mentre il Bancoposta è stato attivato per rendere più efficace l’incasso e la “rendicontazione delle entrate locali, come Ici, Tosap e Cosap.

AUTORE: MariaRita Valli