Corpulento e trasparente

Nella serata di lunedì 22 aprile, e poi la sera dopo, TV 1 ha messo in onda la fiction su Giovanni XXIII. Fiction, si dice così. La mia, come quella di altri milioni di italiani, è stata commozione vera. A un uomo schietto come Angelo Giuseppe Roncalli fingere non si addice nemmeno un po’. Non si addice al Papa buono la fictio del fig_lus che plasma al tornio un vaso di creta, e a tutto pensa tranne che a cosa ci metteranno dentro. Meno ancora gli si addice la fiction del regista televisivo, che nell’atto di sceneggiare la vita di un personaggio, che sia il mistico contadino di Pietrelcina o quel misto di cipria e stupidità che risponde al nome di Giacomo Casanova, si preoccupa soprattutto (quando non esclusivamente) di quanta audience riuscirà a mettere insieme. Mai il mondo aveva visto un uomo così corpulento e al tempo stesso così trasparente come Papa Giovanni. Corpulenza/trasparenza: un paradosso. Ma per chi professa la religione del Dio/uomo il paradosso non è un piccolo ritrovato retorico, un aiuto per la memoria che comincia a vacillare, bensì un linguaggio tout court obbligatorio. Avevo vent’anni e sessantanove giorni quel 28 ottobre 1958. Il Card. Pizzardo, un po’… suonato per l’età veneranda e cecuziente anzichenò per l’altrettanto veneranda abitudine di contare i soldi (si diceva) uno ad uno, si affacciò al balcone dell’Aula delle Benedizioni, si sporse appena dal banchetto che lo faceva un po’ più alto di quanto l’avesse fatto madre natura e si domandò con un borbottio appena percepibile chi fossero quelli che occupavano il rettangolo di piazza sopraelevato, a ridosso dell’ingresso della Basilica di S. Pietro, poi attaccò con voce incrinata: Habemus Papam. Poi apparve Lui. Corpulento e trasparente. Tra quelli che occupavano il rettangolo di piazza sopraelevato, a ridosso dell’ingresso della Basilica di S. Pietro, a sgolarmi (a sgolarci) come a una partita di calcio, c’ero anch’io (c’eravamo anche noi), subito dietro quelle Guardie Pontificie che, appena era apparso chiaro che l’undicesima fumata era bianca, recuperando quel minimo di violenza che in un “militare” non guasta mai, avevano fatto arretrare noi seminaristi a gomitate nel plesso solare. Vorrei offrire ai miei lettori qualche scampolo dell’esperienza che cominciava per me (per noi) quel giorno. Qualche scampolo, prima che nella memoria vinca la nebbia.