“Cosa dobbiamo fare?”

“Che cosa dobbiamo fare?”. È la domanda che le folle rivolgono a Giovanni Battista perché indichi loro lo stile di vita adeguato in tempi di attese messianiche. Così la Liturgia ci proietta sempre più verso l’accoglienza del Natale di Gesù con la terza domenica di Avvento detta ‘domenica gaudete’ nel messale di Papa Giovanni XXIII in virtù del primo verbo dell’Antifona d’ingresso che dice: “rallegratevi sempre nel Signore” (Gaudete in Domino semper).

Prima lettura

“Rallegrati” è l’imperativo con cui ha inizio la Lettura tratta dal libro del profeta Sofonia ed è lo stesso imperativo con cui l’Arcangelo Gabriele saluta Maria nell’evento dell’Annunciazione. Di grande gioia si parla infatti nella pagina della prima Lettura, perché, nonostante Sofonia sia il profeta dell’annuncio del giorno del Signore e, con esso, di prove e punizioni, tuttavia promette anche che il Signore concederà salvezza perenne ad un ‘resto’ di popolo. Annuncia infatti: “Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura … ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”.

Inno

In risposta a questo brano ‘trasmettitore’ di gioia non è come di consueto un Salmo, ma l’inno del cap. 12 del profeta Isaia. Il messaggio di questo inno è quello di risaltare la sorte di un uomo che il Signore ha risollevato da una situazione di afflizione e la gioia è tanta e tale che l’Autore, dopo aver descritto ciò che gli è capitato, cambia tono e coinvolge tutta l’umanità in un canto di lode: “Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra”.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Libro del profeta Sofonia 3,14-17

SALMO RESPONSORIALE
Cantico di Isaia 12,2-6

SECONDA LETTURA
Dalla lettera di Paolo ai filippesi 4,4-7

VANGELO
Vangelo di Luca 3,10-18

Seconda lettura

Segue poi la II Lettura tratta dalla Lettera ai Filippesi, proprio il passaggio in cui Paolo invita alla gioia (il seguito dell’Antifona d’ingresso). In più parti della Lettera l’Apostolo parla della gioia dei credenti, ma qui, ormai vicino alla conclusione, fa un particolare richiamo utilizzando la tecnica letteraria semitica del parallelismo (“siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti”).

Paolo auspica anche che la gioia sia palese, in vista di tutti, allo scopo di manifestare la certezza cristiana che il Signore è presente nella vita quotidiana dei credenti. Paolo è consapevole delle difficoltà che i filippesi stanno vivendo, quindi la gioia non deve essere ‘ipocrita’, come di chi vuole far finta che va tutto bene, e li indirizza perciò ad avere una fiducia totale in Dio.

Vangelo

La pagina del Vangelo ci presenta il seguito di quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa. Infatti, dopo la ‘presentazione’ che è stata fatta di Giovanni Battista è la volta della sua predicazione. Dopo l’inizio del suo insegnamento piuttosto rigido ed esigente (vv. 7-9), subentra la richiesta da parte delle folle che lo ascoltano: “che cosa dobbiamo fare?”.

La sua risposta verte a appagare tutte le categorie presenti: alle folle propone la condivisione dei beni primari, vestiti e cibo; ai pubblicani di essere onesti e di non esigere “nulla di più di quanto vi è stato fissato”; ai soldati di non maltrattare, di non estorcere niente a nessuno e di accontentarsi delle paghe che ricevono.

Giovanni ha quindi puntato sull’amore, sull’onestà, sulla condivisione e sulla giustizia. Del resto i commenti delle folle, “si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo”, fanno percepire un’ansia di attesa del Messia e quindi un clima di ben disposizione nei suoi riguardi. Tuttavia Giovanni allenta subito gli entusiasmi e addirittura usa l’immagine dello ‘slegare i sandali’ (atto che spettava agli schiavi nei riguardi dei loro padroni) per dichiarare di non essere degno nemmeno di essere schiavo di Gesù!

Giovanni addita Gesù con un’espressione che l’AT usa per parlare di Dio, lo definisce il “forte”, il “più forte” di lui (Ger 32,18). E continua istruendo gli uditori circa il battesimo del Messia che è più potente di quello che amministra lui perché caratterizzato dallo Spirito santo e dal fuoco. E il fuoco serve a vagliare ciò che dà frutto (grano) perché venga conservato, da ciò che è infruttuoso (paglia) perché sia eliminato.

A conclusione è detto che Giovanni “evangelizzava il popolo”, dava cioè annunci lieti, gioiosi. Il tempo di Giovanni risentiva di tensioni sociali causate da debolezze politiche e di ansie religiose causate dall’attesa del Messia. Il suo ‘mandato’ è stato quello di preparare gli animi ristabilendo il senso di giustizia, di ordine e di condivisione.

Egli attira le folle nel deserto, propone loro di mettere Dio al di sopra di tutto per disporsi a cambiare decisamente condotta e stile di vita. Non tende tanto a sovvertire ruoli o posizioni quanto a interpellare le coscienze. Anche a noi, oggi, nel nostro tempo, nelle contraddizioni sociali e nelle freddezze all’interno delle comunità, il Signore attraverso la Chiesa provoca.

Sta a noi lasciarci annunciare qualcosa di bello, di gioioso. Ma aspettiamo ancora qualcosa di bello? Soprattutto, abbiamo l’umiltà di dire: “Cosa dobbiamo fare?”.

Giuseppina Bruscolotti