Così il Cardinale sogna l’Italia

l’editoriale

L’Italia sembra sempre quella. Tutto sembra sempre tornare al punto di partenza: “Istruisce i problemi, comincia a metter mano alle soluzioni, ma non riesce a restare concentrata sull’opera fino a concluderla”. Il card. Angelo Bagnasco, nella prolusione al Consiglio episcopale permanente, analizza in modo fine e rigoroso le nevrosi nazionali, che lo portano ad affermare che “siamo angustiati per l’Italia”. Non è un alibi per abbandonarsi al pessimismo, che anche un certo sistema della comunicazione sembra alimentare compiaciuto. È il punto di partenza realistico per invitare concretamente a costruire qualcosa di utile e di durevole. Il punto è che l’Italia stessa “non riesce ad amarsi compiutamente”. Ed allora bisogna lavorare proprio su questo registro, che ha il nome antico e attualissimo di “bene comune”. La causa fondamentale di questa sensazione di eterno ritorno inconcludente, spiega il Presidente della Cei, è la sostanziale incapacità degli italiani di occuparsi positivamente di ciò “che è pubblico ed è comune”, di guardare agli obiettivi comuni. Si ricade così nelle nevrosi delle conflittualità, della guerriglia, della frammentazione. Tutti si appassionano ai conflitti inconcludenti e nessuno si occupa della prospettiva. Sullo sfondo il Presidente della Cei ha il suo “sogno”: è il formarsi di una “generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti”. Ne riparlerà, promette. Nella prolusione, su questa linea, indica allora con precisione alcune questioni aperte, “che hanno un chiaro rilievo antropologico”. È la linea del bene comune, di cui presupposto sono appunto politiche pubbliche rispettose e anzi promozionali della persona. Il card. Bagnasco entra decisamente nel merito, a proposito dell’impatto sociale della crisi, dei giovani, della scuola, delle carceri, del sistema sanitario, delle politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità, fino ad arrivare alle politiche fiscali e istituzionali. Il federalismo, irreversibile, rappresenta un passaggio cruciale, perché non può attuarsi che nel segno della responsabilità. Richiede veramente un cambiamento radicale, che giustamente non è nelle forme istituzionali. Si deve infatti incardinare in un forte senso di unità e indivisibilità della nazione. Richiede piuttosto a tutti e a ciascuno – singoli, comunità, imprese, categorie – una nuova e forte assunzione di responsabilità. È questa la parola chiave, una parola tradizionalmente ostica nel nostro discorso pubblico e privato. Eppure, ribadisce il Presidente della Cei, bisogna passare proprio di lì. Serve per questo una nuova e forte consapevolezza culturale, serve “un’unità interiore e spirituale che merita di essere perseguita come contributo vitale offerto a tutto il Paese”. E riafferma che i cattolici e la Chiesa in Italia sono pronti e disponibili a giocare questa complessa partita, la partita per il futuro.

AUTORE: Francesco Bonini