Cresce in Italia il numero dei divorzi e delle separazioni

Da una ricerca Istat i dati sull/evoluzione e gli aspetti strutturali delle problematiche familiari

I numeri resi noti recentemente dall/Istat, attraverso un volume informativo sull/evoluzione e gli aspetti strutturali delle problematiche familiari, e riguardanti le separazioni ed i divorzi in Italia parlano chiaro: il fenomeno dell/instabilità coniugale italiana, pur non raggiungendo i livelli di altri paesi europei, è in aumento. I dati raccolti dall/Istat riguardano il decennio 1980-99 e mostrano come nel 1980 si registravano 29.462 separazioni e 11.844 divorzi; dieci anni dopo i valori sono quasi raddoppiati, 44.018 separazioni e 27.682 divorzi. Quest/ultimo dato registra una particolare impennata, dovuta alla legge 74/87 che ha ridotto da cinque a tre anni il periodo necessario per chiedere il divorzio, dopo la separazione. Vent/anni fa su 100 coppie sposate 9 si separavano e 4 divorziavano; nel 1999 su cento matrimoni il numero di coppie separate e divorziate sale, rispettivamente, a 23 e 12. Indicatori più corretti del fenomeno si hanno rapportando il numero di separazioni e divorzi al numero di coppie coniugate: nel 1999 si registrano, così, 4,5 separazioni e 2,4 divorzi ogni mille coppie coniugate. Scorrendo le statistiche si vede anche che i due fenomeni sono più frequenti nell/Italia settentrionale, rispetto al Mezzogiorno. La classifica è guidata dalla Valle d/Aosta (8 separazioni e 6 divorzi ogni mille coppie coniugate); il Molise è all/ultimo posto con 2 separazioni e 1 divorzio ogni mille coppie sposate. L/Umbria si piazza a metà classifica con quattro separazioni e due divorzi ogni 1000 coppie sposate, anche se in questi ultimi anni il numero delle domande è andato in crescendo. Solo nei primi mesi di quest/anno sono state 910 le domande di separazione consensuale presentate in Umbria, 450 delle quali nella provincia di Perugia. Di queste, in media, in due casi su quattro si arriva alla sentenza di divorzio. Secondo i dati dell/Istat emerge che nel 68 per cento dei casi è la donna a voler porre fine al rapporto matrimoniale, percentuale che si alza al 70 per cento nel caso in cui la donna sia occupata o con un titolo di studio elevato. Superati i cinquant/anni d/età la situazione si rovescia, con gli uomini in netta prevalenza nella decisione di chiudere l/esperienza matrimoniale. Secondo alcuni specialisti, però, la ricerca non terrebbe conto degli #$aggiustamenti#$, cioè delle coppie di fatto, dei separati in casa o dei matrimoni di convenienza. Fenomeni legati a condizioni economiche precarie, ad usi sociali #$borghesi#$, ma che incrementano, anche se non risultano, le statistiche sulle unioni fallite. Il dato che riguarda il #$perché#$ si pone fine al matrimonio evidenzia i soliti motivi d/incomprensione, d/incompatibilità e, soprattutto, d/infedeltà coniugale, ma anche il fallimento delle unioni tra giovani, quale frutto di scelte affrettate e della confusione dei sentimenti. Molti giovani, infatti, si sposano per abitudine, perché convivono da anni, per consuetudine, per far piacere ai genitori o perché se lo aspettano tutti (parenti, amici, etc.). A cavallo tra il fatto vero e la leggenda metropolitana sono molti i casi, registrati negli ultimi tempi, di coppie separatesi al ritorno dal viaggio di nozze. Nel 1985 il 19 per cento delle separazioni proveniva da matrimoni celebrati meno di cinque anni prima; nel 1990 la percentuale era salita al 21 per cento e nel 1998 aveva raggiunto il 23 per cento. Dalla ricerca emerge anche che ci si separa di più dopo la celebrazione religiosa: l/82 per cento contro il 18 per cento del rito civile. Un dato che riflette non la debolezza del legame religioso, ma solo l/alto numero di matrimoni celebrati in chiesa, spesso senza preparazione o per futili motivi (convenzione sociale, per mettere l/abito bianco o per fare belle foto), non supportati da una scelta di fede matura e consapevole.

AUTORE: Umberto Maiorca