Cristiani massacrati dai militanti di Al Shabaab

Kenya. Dopo la strage di studenti a Garissa. Scrive il missionario padre Pierli da Nairobi
Il dolore di una madre per la strage al campus universitario in Kenya
Il dolore di una madre per la strage al campus universitario in Kenya

Quando partii per la prima volta per l’Uganda nel giugno del 1971, gli obiettivi che condividevo con tutti gli altri missionari e missionarie erano due: quello religioso, ossia l’evangelizzazione; e quello sociale, lo sviluppo e la promozione umana. Obiettivi che mi hanno sempre illuminato, motivato e sostenuto nei quaranta e più anni di servizio agli africani. Mai ho pensato che la mia religione, la fede cristiana, potesse in qualche modo incentivarmi alla violenza, all’odio e a seminare la morte. Per me, come per tutti i cristiani, la vita è sacra e deve essere sempre promossa, mai soffocata.

Garissa, grande tradimento

Eppure in questi ultimi 25 anni in Kenya innumerevoli volte sono stato testimone di una manipolazione aberrante della religione – soprattutto quella musulmana – per giustificare massacri, attentati, esecuzioni di cristiani, distruzioni di chiese e annesse opere sociali. Il primo grande attentato a Nairobi il 7 agosto 1998: 252 vittime. Il 13 settembre 2013: circa 80 morti sempre a Nairobi. Nel 2014, 50 morti sulla costa dell’Oceano Indiano a Mpeketoni, nella regione del Malindi. Un crescendo di violenza, e sempre in nome di Dio!

Perché quei 150 morti

Ora Garissa! Una cittadina di 150 mila abitanti a 350 chilometri da Nairobi nel nordest del Kenya, a 145 chilometri dal confine con la Somalia; un confine lungo 800 chilometri che attraversa il deserto, quindi difficilissimo da controllare. La Somalia negli ultimi 25 anni mai ha goduto di un Governo centrale organizzato, capace di controllare una superficie che è il doppio dell’Italia: 637.000 kmq. Perciò la Somalia è diventato il rifugio sicuro dei gruppi islamici più violenti e sanguinari. Vi confluiscono da varie parti del mondo; là hanno i loro campi base sia per addestramento che per lanciare attacchi cruenti soprattutto contro il Kenya. Non si dimentichi che per una decina di anni, subito prima e subito dopo il 2000, la costa somala è stato l’epicentro della pirateria internazionale. I gruppi estremisti, genericamente chiamati Al Shabaab (“giovani audaci”), cercano anche di imporre al Paese un islam estremista, intollerante e assassino.

Martiri

Ecco i nomi di alcuni dei più famosi martiri: il vescovo Pietro Colombo assassinato sulla porta della chiesa nel 1989; la laica missionaria dottoressa Annalena Tonelli, con una revolverata alla nuca mentre visitava i malati di tubercolosi in un ospedale da lei fondato (2003); la suora missionaria infermiera Leonella Sgorbati assassinata mentre organizzava i reparti (2006); dei martiri somali nessuno può tenere la memoria! Il collegio universitario dove il 2 aprile scorso i guerriglieri islamici di Al Shabaab hanno ucciso 147 studenti e tre membri del personale, era stato aperto nel 2011. Nell’aprile 2015 aveva un popolazione sulle 800 persone tra studenti, insegnanti e personale sussidiario. Non era la prima volta che tali spedizioni criminali colpivano Garissa e dintorni. Nel mirino, soprattutto i cristiani, le chiese e le opere per la promozione dello sviluppo, urgentissimo dato che è una zona molto arida e dimenticata dai Governi kenioti del passato. Per questo il Governo del Kenya si trova a disagio per difendersi dalle accuse di inefficienza e trascuratezza. Sembra che non si sia imparato nulla dalla lunga litania di attentati pagati a caro prezzo da tanti cittadini del Kenya, soprattutto giovani. Purtroppo la cooperazione con gli Stati Uniti e con l’Inghilterra si è notevolmente allentata a vantaggio della Cina, avida di interessi e di materie prime ma totalmente noncurante nei confronti della sicurezza fisica dei kenioti, del terrorismo, dell’ambiente e dei diritti umani.

Un prezzo esorbitante

Il Kenya paga a carissimo prezzo il clima di insicurezza e i ripetuti attacchi. Prima di tutto, in termini di vite umane e conseguenti sofferenze indicibili per tutte le famiglie private delle loro giovani speranze; piaghe mai rimarginabili! Poi il pericolo – non ipotetico – dello sgretolamento sociale a causa di una – non ipotetica – crescente tensione fra la maggioranza cristiana dei kenioti e la minoranza musulmana, concentrata soprattutto sui confini con la Somalia e sulla costa dell’Oceano Indiano a Mombasa. La leadership musulmana keniota sembra ancora esitante di fronte a una condanna sistematica e concreta della violenza religiosa. Ulteriore grave conseguenza negativa è la sospensione di tanti progetti di sviluppo sostenuti dalla Chiesa cattolica e da altre Chiese cristiane nelle zone più abbandonate e povere del Paese, come appunto Garissa. Infine la cessazione quasi totale del turismo, la terza entrata più cospicua del Kenya dopo il tè e il caffè.

Speranza e voglia di vivere

Al Shabaab è anche un’organizzazione militare, quindi una risposta militare del Governo del Kenya è un’opzione aperta e forse necessaria. Ma la riposta simbolica più forte è venuta dai cristiani di Garissa, che la mattina di Pasqua hanno riempito la chiesa, nonostante il vuoto lasciato dai 150 uccisi. Non vogliamo lasciarci paralizzare dal timore e fuggire. È la strategia dei gruppi islamici estremisti: rendere impossibile la vita normale delle comunità cristiane, degli impiegati governativi, delle organizzazioni umanitarie. Il loro futuro è in una totale vuoto di governo, di società civile e di organizzazione religiosa, in modo da poter restare loro gli unici attori sul palcoscenico. La stessa tattica in Medio Oriente, nelle zone controllate dall’Isis: rendere impossibile la vita dei cristiani, indurli a fuggire e lasciare tutto a loro. Da questo punto di vista, ci auguriamo una vera solidarietà internazionale per aiutare i locali a restare, grazie alla speranza e a condizioni di vita più umane. La solidarietà internazionale è una necessità assoluta e urgentissima. Per questo apprezziamo moltissimo l’attenzione chiara e continua di Papa Francesco. Gli Al Shabaab devono convincersi che la loro strategia non ha alcuna possibilità di successo.

Che lo Spirito del Signore risorto Gesù aiuti tutti: kenioti, amici del Kenya e la comunità internazionale a trovare una risposta valida duratura e, a lungo andare, non violenta. Soprattutto, che possiamo offrire ai giovani che ingrossano le file di Al Shabaab alternative di vita più affascinanti e valori più solidi e solidali. È una sfida aperta a tutti, con le Chiese e altre religioni in prima fila!

 

AUTORE: Padre Francesco Pierli missionario comboniano Nairobi - Kenya