Davvero Lui è risorto!

‘Celebriamo la festa non con il lievito vecchio, non con lievito di malizia e perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità’: così ci insegna san Paolo a fare Pasqua, la festa che dà senso alla vita cristiana. Se Cristo non fosse risorto, sarebbe vana la nostra fede. Abbiamo una grande cosa da dire a tutti: sono vinti il peccato e la morte. La cronaca di ogni giorno, con le sue cattiverie e le ingiustizie, pare rappresentare l’umanità come un’ape pazza, che va in giro con il suo doloroso pungiglione, la morte. Un’antica leggenda ebraica dice che il precetto biblico di segnare gli stipiti della porta con il sangue dell’agnello pasquale non serve tanto allo Sterminatore per identificare il popolo di Dio, quanto a noi, che di quel popolo siamo le persone, perché se davvero abbiamo fatto esperienza di Pasqua siamo noi stessi nuovi, liberi, finalmente capaci di farci identificare dentro la città dell’uomo, con il fascino della giustizia: senza paura. Il Signore ci chiama ad essere solidali con tutti gli altri abitanti del mondo, come il lievito impastato con la farina. Ci chiede di essere santi, cioè appartenenti a Lui, membri della sua stessa famiglia. Il Risorto non domanda alla sua Chiesa di prendere le distanze dal mondo, ma di porsi al servizio dell’uomo sul modello di Gesù, in umiltà. L’immagine biblica del lievito dice anche la nostra vocazione cristiana di sollevare, alleviare, rendere soffice e profumato l’ambiente umano nel quale la divina Provvidenza ci fa vivere. Il lievito inacidito riesce a sciupare tutto. È la mancanza di delicatezza, di rispetto per gli altri, di dialogo. Si è azzimi di Pasqua se si hanno quelle virtù che assicurano alla nostra missione di portatori del Vangelo gli strumenti per far cogliere ai nostri interlocutori che non è dottrina di uomini quella che annunziamo, ma dono di Dio. Ogni volta che ci misuriamo con la Pasqua, ‘in sincerità e verità’, si ripropone a ciascuno di noi quanto sia problematico il tema della novità cristiana. A Verona lo scorso mese di ottobre ci siamo dette, noi duecentoventisei Chiese d’Italia, la nostra voglia di essere testimoni di speranza. La fantasia creativa nel ministero pastorale è la misura con cui affiora lo zelo per la casa del Signore, la radicalità con cui scegliamo ogni mattina di tornare ad essere famuli Dei, cioè abitanti di quella città di Dio verso la quale il mondo intero cammina nel segno della Pasqua. La stessa fede, che fece riconoscere Cristo risorto agli apostoli, sostiene la nostra capacità di annunziare il ‘nuovo” come possibile. Ci vuole fede per scorgere la novità di Dio come risorsa per questa umanità che è anche oggi sofferente, piena di quelle piaghe procurate dai briganti, per cui Cristo, buon samaritano, ha ancora ragione di chinarsi su di noi. Ci vuole fede per credere nell’uomo lapsus et redemptus: per ritenere possibile che, assieme a Gesù primogenito tra molti fratelli, ci sia possibile il riscatto dalla guerra, dal male, dall’errore, dall’ingiustizia. Questa è la pace di Pasqua. Già sant’Agostino insegnava che l’umanità, sconvolta dal relativismo, pare una nave senza timone, dove comandanti inebriati stentano a ritrovare la rotta che conduce al porto sicuro. Il nostro uovo di Pasqua è dare coraggio. Il Signore è veramente risorto ed è pronto a liberare anche noi dal male, purché, nell’esercizio della libertà ritrovata, facciamo nostra la carità degli apostoli e ci rimettiamo all’opera, a compiere quello che manca alla passione di Cristo. Tocca a noi, innanzittutto con l’esemplarità della vità, dare il segno che la novità di Cristo è possibile anche in questo tempo. La scelta per le beatitudini, se davvero convinta, ci offrirà il più credibile dei linguaggi, con cui far comprendere il Vangelo della resurrezione. In questo alternarci di servizio su La Voce, che mi piace leggere come il turno di Zaccaria al tempio, tocca a me in questa felice occasione di Pasqua dire a tutti i nostri lettori, anche a nome dei miei fratelli nell’episcopato, che il Signore è veramente risorto; che ci precede nella Galilea, che è il luogo della nostra vita quotidiana. La nostra appartenenza alla Chiesa di Cristo comporta la dignità di saper ricominciare, per riprovare ad essere veramente azzimi, il cibo non corrotto di Pasqua, che è il sostentamento per questa generazione.

AUTORE: ' Riccardo Fontana