Diritto allo studio? Ci vuol altro

L'INTERVENTO. Nella scuola si sta distorcendo il rapporto di sussidiarietà tra Stato e famiglie

Nel numero 40 de La Voce ho letto l’articolo ‘Genitori prima ideologizzati, oggi invece scomparsi nel nulla’ che mi è sembrato eccessivamente accusatorio dei genitori stessi, anche se, devo ammettere, in talune realtà scolastiche la latitanza delle famiglie può essere effettivamente sconsolante. Sul successivo numero 41, l’intervento di Mario Casenghi ‘Le problematiche scolastiche si risolvono con l’autogoverno’ mi sembra dia il senso di una risposta positiva: costruiamo organismi di autentica, paritaria responsabilità per guidare la nuova scuola nel rispetto della persona, attraverso la libera scelta, la sussidiarietà e corresponsabilità educativa. Chi deve farlo? Certamente lo Stato e le Regioni, che sono chiamati ad ascoltare le richieste delle famiglie degli ‘utenti’. I genitori, infatti, sono stanchi di stare in organismi nei quali contano poco! Tre settimane fa, in Consiglio regionale, c’è stata un’audizione sulla proposta del Piano triennale per l’attuazione del diritto allo studio. L’Associazione genitori scuole cattoliche (Agesc), presente all’audizione, in accordo con il Forum delle associazioni familiari, ha illustrato un complesso documento con le tematiche su richiamate, perché il Piano nemmeno le cita. A prescindere da tutto il resto, accenno soltanto a tre richieste minime: 1) la costituzione degli organismi di gestione dei nuovi ambiti territoriali in sostituzione dei distretti scolastici, prevedendo anche la presenza delle famiglie; 2) l’aumento degli importi del sussidio delle borse di studio, istituito con la legge 62 del 2000, a totale o parziale copertura delle spese sostenute dalle famiglie, e contemporaneamente riportando la soglia del reddito familiare utile almeno ai precedenti 15 mila euro ca., invece dei 10.632 dello scorso anno; 3) l’indicazione ai Comuni di predisporre convenzioni con le scuole materne dichiarate paritarie, in base alla quale gli enti gestori possano programmare il proprio servizio, almeno a cadenza triennale. Come si vede sono tre richieste minime, ma significative, di attenzione alle tematiche familiari. Con la prima richiesta si stimola la corresponsabilità educativa della famiglia, con la seconda e la terza si consente una pur minima libertà di scelta educativa. È paradossale che, mentre in un incontro istituzionale sulla proposta di Piano per il diritto allo studio si acquisiscono pareri e proposte, contemporaneamente si approvano disposizioni, come quella sul beneficio delle borse di studio (vedi La Voce n. 41) a prescindere da tutto! Ma allora, che contano gli incontri istituzionali? Come si può aver fiducia di queste istituzioni che nemmeno fingono di ascoltare le esigenze delle famiglie? Ancora, perché la scuola materna paritaria, parte integrante del sistema nazionale dell’Istruzione, come per altro recita anche la l.r. 28 del 2002, non deve essere messa in grado di funzionare, quando svolge, in un paradossale contesto di sussidiarietà inversa (famiglie vs Stato), un servizio che altrimenti graverebbe per molti milioni sulle casse dello Stato e dei Comuni? Non sarà forse che con le borse di studio – intervento aggiuntivo ad altri già dovuti, avendo riportato il reddito familiare all’importo minimo previsto dalle legge – si vuol dare un contributo indiretto ai Comuni, che così risparmierebbero somme sugli esoneri per reddito, anziché contribuire alle necessità dei ragazzi e delle loro famiglie? Oppure, non offrendo garanzie ai frequentanti le scuole paritarie, che in Umbria sono prevalentemente di matrice cattolica, si vuol attivare in maniera molto sottile una sussidiarietà inversa dalle famiglie allo Stato?

AUTORE: Sergio De Vincenzi