Dolore umano: il senso della sofferenza

La città di Perugia ha ricordato Vittorio Trancanelli nel V nniversario della morte

“Dolore umano: il senso della sofferenza”: si è aperto sullo sfondo di questo tema l’incontro in ricordo di Vittorio Trancanelli nel V anniversario della sua morte, lunedì 23 giugno nella sala del Dottorato delle Logge di San Lorenzo a Perugia. Presenti la moglie Rosalia Sabatini, numerosi amici e conoscenti ed alcuni operatori della Caritas diocesana. “Testimone autentico di fede e di carità, ha messo la sua vita e la sua professione di medico chirurgo a servizio degli altri”: così ha aperto il dibattito mons. Elio Bromuri, responsabile del Centro ecumenico universitario “San Martino”, di cui Trancanelli è stato attivo collaboratore. “Si sta predisponendo la pubblicazione di una serie di testimonianze”, continua mons. Bromuri, “atte a rivelare la figura di Trancanelli, la sua santità feriale fatta di quell’eroismo quotidiano che porta a farsi carico delle sofferenze proprie e di quelle altrui”. Dalle testimonianze emerge l’amore di Trancanelli, la sua comprensione e compassione, quel suo essere innamorato di Gesù che lo portava, tra l’altro, a nutrire passione e interesse per il mondo ebraico. Era un uomo giusto Trancanelli, nel cui pensiero la giustizia era quella dettata dalla persona malata; era un uomo libero, ma di una libertà che lo estraniava alle convenzioni; era un uomo semplice ed essenziale, franco e mite, libero ma che non disdegnava di legarsi alle persone: “era l’uomo delle beatitudini del Vangelo” conclude mons. Bromuri. Da Trancanelli, uomo che personalmente ha sperimentato il dolore, il discorso si è allargato sulle basi neurofisiologiche del dolore: “la sola fisiologia non è sufficiente a dare una spiegazione esauriente del dolore”, afferma il prof. Vito Enrico Pettorossi, “esso è frutto di relazioni tra mondo esterno e interno della persona”. Pettorossi spiega che il segnale dolorifico è protomatico, ossia non quantificabile in maniera definita; può interessare diverse aree del sistema nervoso centrale, ma sostanze quali la endorfine e la serotonina, già presenti nel nostro corpo, possono controllare il dolore. Sul senso del dolore, ha preso la parola la prof.ssa Rosa Bruni, psichiatra e docente al Campus Biomedico di Roma. “Per curare e prendersi cura”, afferma è necessario porsi in quella posizione che Gadamer definisce “guaritore ferito”: lasciare le nostre certezze e “accettare di incontrare l’altro dove egli si trova”. Ciò significa fare nostra la sofferenza e l’angoscia dell’altro, trasmettendogli, al tempo stesso, la speranza e la fiducia nella guarigione. Curare è accompagnare lungo un viaggio la persona che soffre essendo noi stessi sofferenti. Ma, nella terapia del dolore, quanto possono essere efficaci i farmaci? A questa domanda ha risposto il prof. Francesco Paoletti: “Quando il dolore si trasforma da campanello d’allarme a segnale cronico, è possibile intervenire con farmaci oppiacei poiché il dolore non trattato influisce negativamente sulla malattia”. Riportando le parole di Giovanni Paolo II sull’uso lecito di narcotici per alleviare il dolore, il prof. Paoletti ha affermato che la terapia del dolore deve, però, essere accompagnata da un sistema valoriale forte: “Liberare il malato dall’angoscia non deve significare produrre un’ulteriore droga per la società”.Il giorno seguente nella Cattedrale di San Lorenzo, mons. Chiaretti ha celebrato una santa messa in ricordo di Trancanelli. Nell’omelia ha indicato in Vittorio un “profeta” del nostro tempo, testimoniando con il quotidiano esercizio delle virtù cristiane la fedeltà al Vangelo.

AUTORE: Concetta Desando