“Don Carlo” stringeva con tutti un profondo legame spirituale

Morto il 2 febbraio il vescovo mons. Urru.Cordoglio e partecipazione ai funerali

Si è spento, a Perugia, il giorno della “Candelora”, quando gli uomini e le donne che si sono consacrati a Dio accendono le loro lampade per ricordare e riconfermare il loro proposito di appartenere al “popolo delle beatitudini”. Don Carlo non era un “religioso” nel senso tecnico del termine, era una sacerdote, un pastore, un vescovo, ma con il suo carisma ministeriale, (carisma prima e più che servizio istituzionale) apparteneva a quel popolo e la sua lampada terrena si è spenta nell’attimo in cui è entrato nella luce di Dio. Di lui molti racconteranno episodi di vita che all’apparenza non hanno caratteri straordinari. E’ stato infatti un “eroe della quotidianità”, che ha significato fedeltà totale ad una vocazione cristiana maturata da giovane nell’ambito della parrocchia di San Domenico a Perugia, e sviluppata in una vocazione al sacerdozio che lo ha portato a vari servizi nella Chiesa, svolti con assoluta dedizione, fino alla precisa esecuzione (all’esterno poteva sembrare persino scrupolosa) delle regole che le sue varie funzioni gli assegnavano. Portava nella vita la sensibilità del letterato amante della parola, della grammatica e della sintassi, come via obbligata per giungere al cuore della pagina scritta. Così nell’insegnamento, così nella liturgia, così nella vita pratica. Un capitolo importante nella sua vita è stato quello delle amicizie. Tante e solide. Di nessuno dei tantissimi giovani incontrati ha mai dimenticato il nome. Alcuni gli sono rimasti affettuosamente e rispettosamente legati per cinquant’anni, altri li ha legati a sé quando poteva sembrare già satura la sua misura. Ho visto uno degli ultimi amici, un giovane prete che è venuto da Roma a celebrare sulla sua bara ancora aperta e l’ho visto quando già vestito dei paramenti gli si è avvicinato con volto sereno e gli ha baciato la mano e poi la fronte. Il giovane prete e l’anziano vescovo legati dall’unica passione per Cristo. E pensare che all’apparenza quell’uomo piccolo di statura e dal sorriso appena abbozzato, poteva apparire freddo. C’è un mistero nella sua persona e forse sta proprio nel fascino delle Beatitudini che aveva incarnato nel suo essere interiore e nella semplicità della sua espressione esteriore. Era povero, e povero è morto. Donava sempre tutto. Quando veniva a Pieve del Vescovo dove c’era un collegio di giovani bisognosi, negli anni del primo dopoguerra ci raggiungeva in pullman la mattina presto anche d’inverno coperto da un ampio mantello nero sotto il quale nascondeva pacchi di scarpe, oggetti vari che gli venivano richiesti dai ragazzi. Non ha mai voluto essere ed essere chiamato che don Carlo, senza ulteriori appellativi. Era mite e fermo, tenace e aperto, capace di ascolto, comprensivo e determinato. Era sardo. E i sardi tra cui è stato vescovo lo hanno amato come uno di loro e lo hanno compreso. Ho raccolto alcune testimonianze ed è stata una rivelazione per l’ampio spettro di persone e di situazioni che appartengono a generazioni tanto diverse e tutte accomunate per la profondità spirituale del legame che don Carlo aveva realizzato. I vari Cesare, Giacomo, Gianfranco, Giampaolo, Bruno, Pietro e tanti altri raccontano con le lacrime agli occhi la storia della loro amicizia con lui. Ho avuto la fortuna di stare al suo fianco come suo vice quand’era rettore del seminario di Perugia. Pur essendo di temperamento diverso dal suo fummo amici ed ebbe per me, come per i suoi ottanta seminaristi, tanti erano allora (anni ’50), un affetto paterno, quasi possessivo ed eccessivamente protettivo, che ci portò ad un dissenso sulle vacanze di Natale. Egli non voleva rimandare a casa i ragazzi perché, diceva, quand’è festa si sta in famiglia e il seminario è la vostra famiglia. Questo era don Carlo: un padre, un fratello, un amico, un consigliere spirituale, un educatore, un esempio di vita, un uomo che sapeva tacere e soffrire, che camminava sul sicuro senza tentennamenti. A tavola sceglieva come frutta sempre la mela, perché non tradisce mai. Anche lui, che io sappia, non ha mai tradito le attese di nessuno.

AUTORE: Elio Bromuri