“Durante la messa offrono quello che possono. Pur nella povertà”

A colloquio con don Maurizio Saba di ritorno da Kasumo (Tanzania)

Si è conclusa l’esperienza missionaria estiva iniziata il 29 luglio per una quindicina di giovani e adulti recatisi a Kasumo, in Tanzania, ospiti delle Francescane ausiliarie laiche missionarie dell’Immacolata da tempo presenti nella regione. Il campo di lavoro, promosso dalla Caritas diocesana e dall’ufficio di Pastorale giovanile, si inserisce in un progetto di sostegno offerto dalla nostra diocesi a quella di Kigoma, che ha visto già la realizzazione di una scuola primaria, donata al Governo africano, e punta ora all’edificazione di una scuola secondaria di agraria che verrà gestita direttamente dalla diocesi locale. Ne parliamo con don Maurizio Saba, responsabile diocesano della Pastorale giovanile e parroco di Castelnuovo, rientrato il 2 settembre dalla Tanzania.”E’ stata un’esperienza forte che ci ha fatto toccare con mano la povertà e provare il disagio di trovarcisi di fronte, di sentirne l’odore, di sperimentarne il fastidio reale. E’ stata questa la sensazione che mi si è imposta durante tutta la permanenza: il disagio di fronte al povero che grida, che grida giustamente. Non si può rimanere insensibili; quanto meno si prova vergogna per il senso di curiosità che ci spinge ad andare, occidentali, in un mondo infinitamente distante, direi quasi una realtà parallela. Nonostante mi fossi documentato prima della partenza, forte è stato l’impatto con una cultura diversa, con un popolo profondamente sofferente, privo di tutto e pur animato da una fede semplice. Unico momento di profonda e reale comunione con la realtà africana è stato per me proprio il riunirci ogni giorno nella preghiera comune. Personalmente ho sperimentato grande gioia nel celebrare insieme la messa, vissuta in maniera festosa e partecipata; pensa che dura due ore e mezza e il tempo scorre tra canti, danze e colori. In particolare mi ha colpito il momento della colletta o, meglio, delle collette dato che sono due: la prima per le necessità della parrocchia e la seconda per l’intenzione particolare della settimana, ad esempio per i semiaristi o per i catechisti, figure assai significative nella realtà multireligiosa locale che vede la presenza di cristiani di diverse confessioni accanto a musulmani e a moltissimi pagani. La singolarità della raccolta sta nella partecipazione personale: ciascun membro dell’assemblea porta all’altare un dono; è un atto di profonda generosità e di umiltà se consideri la povertà in cui versa la popolazione, che si sostenta appena con quanto riesce a trarre dall’agricoltura”. E’ la terra l’unica fonte di sostentamento?”Sì, e il territorio intorno a Kasumo non è neanche particolarmente fertile, ma è ricco d’acqua e consente di coltivare fagioli e granoturco; i più esperti producono anche banane. Il solo strumento a loro disposizione è la zappa ed è con l’uso di questa che le donne riescono a procacciarsi l’unico pasto giornaliero per la famiglia. La proprietà terriera è infatti personale, distinta tra membri dello stesso nucleo familiare e sono le madri a provvedere al sostentamento dei figli, mentre al padre spetta di dare loro un pezzo di terra quando raggiungono la maturità, perché possano provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Questo significa che l’uomo non è obbligato a contribuire al sostentamento della famiglia, per cui spende quel poco che ha nelle bettole – ogni villaggio ne ha una – per poi rientrare spesso ubriaco e malmenare la propria moglie. No, non scandalizzarti: fa parte della cultura locale; un sacerdote missionario mi ha persino raccontato che a una riunione del clero tempo fa si è discusso se i mariti cristiani debbano o meno picchiare le loro spose: si è convenuto che gli è concesso alcune volte l’anno. Questo per spiegarti che le cose vanno cambiando con l’incontro col messaggio evangelico, ma la cultura locale presuppone che la moglie sia interamente sottomessa al marito e colui che non fa sentire la propria presenza è considerato al pari di una donna incapace di generare: è escluso dalla comunità e destinato a una solitudine terribile”. Come trascorrevate la giornata?”Al mattino presto celebravamo la messa, proseguivamo con le lodi e un po’ di meditazione; dopo la colazione e la lettura dell’agenda comune (a turno ognuno di noi scriveva su di essa quanto era accaduto il giorno precedente) a ciascuno era affidato un compito che lo vedeva impegnato sino all’ora di pranzo; anche le prime ore del pomeriggio erano dedicate al lavoro che si cercava però di ultimare per le 16. Da quel momento fino all’ora del vespro ci dedicavamo ai bambini. Ogni sera, dopo cena, abbiamo avuto degli incontri davvero significativi con missionari, volontari, sacerdoti e gente del luogo. Le prime due settimane abbiamo contribuito a rinnovare l’impianto elettrico della missione che ci ospitava: tra noi c’erano infatti due elettricisti venuti appositamente per impiantare dei pannelli solari. Un’intera settimana l’abbiamo dedicata all’organizzazione di un oratorio: si sono iscritti più di 200 bambini! Sarebbe impossibile comunicarti tutto quello che questo campo missionario e i volti che ho incontrato mi hanno donato; ti auguro però di sperimentarlo personalmente, magari l’estate prossima, con altri giovani della diocesi, a Kasumo…”.

AUTORE: Elena Lovascio