Educarsi alla verità per non “sbriciolarsi”

Intervento del Segretario generale della Cei sul tema educativo e sui rischi che oggi si corrono a causa della mentalità relativista e della crisi di scuola e famiglia

L’aspetto più delicato, nella sfida educativa che la Chiesa italiana ha deciso di raccogliere per questo decennio pastorale, è costituito dalla “tentazione relativista, che mina in radice qualsiasi opera educativa”. Ad affermarlo è stato il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, intervenendo a un recente incontro sul tema “I mass media cattolici: educarsi alla verità”. “La disponibilità illimitata di forme e interlocutori della comunicazione in questa epoca digitale – ha affermato mons. Crociata – ha già prodotto un riposizionamento delle tradizionali agenzie educative, a cominciare dalla famiglia e dalla scuola, spesso inesorabilmente marginalizzate o comunque ridimensionate”. Inoltre, “un senso malinteso di rispetto dell’autonomia e della libertà ha portato talora a teorizzare e praticare il rifiuto dell’opera educativa come tale, ritenendola lesiva o limitativa della personalità del bambino, del ragazzo o del giovane, la quale invece dovrebbe avere già in sé tutto ciò che è necessario alla sua maturazione umana e, dunque, avrebbe bisogno solo di un aiuto volto a facilitare la sua naturale evoluzione”.Generazione, tradizione, autorità. In una simile prospettiva, per mons. Crociata, ne va della “sussistenza stessa dell’educazione”, perché “ad essere messa in questione, prima che il compito educativo, è l’idea di persona umana”. Stando alla mentalità dominante, infatti, “la famiglia non dovrebbe in alcun modo adottare misure costrittive o repressive, e la scuola assumerebbe solo una funzione metodologica, come luogo di apprendimento di informazioni, di tecniche, di uso di strumenti di cui lo studente si servirebbe liberamente e relativamente per far forma alla propria personalità”. “Generazione, tradizione, autorità”: sono queste, per il segretario generale della Cei, le tre “esigenze imprescindibili per una sfida educativa raccolta e condotta secondo verità. Non basta essere procreati per essere generati: non basta metter al mondo una creatura per renderlo figlio e persona”, ha detto mons. Crociata spiegando il significato del termine generazione. “La tradizione rappresenta la condizione per lasciar emergere l’originalità e l’unicità di ciascuno”, ha affermato, poiché “non è nel vuoto che si può sviluppare una personalità originale, ma soltanto all’interno di un processo di trasmissione”. “Autorità”, infine, è una parola che appare “ostica” ai nostri giorni, ma che invece – a patto di non essere “confusa con autoritarismo” – è “responsabilità a partire da un’autorevolezza personale e competente da parte dell’educatore”. Persona, società, relazioni. Nella prima parte della sua relazione, mons. Crociata si è soffermato su tre cambiamenti principali che attraversano lo scenario educativo del nostro tempo: “Il primo riguarda la persona, il secondo la società nel suo insieme e la mentalità prevalente, il terzo le relazioni tra le persone all’interno di essa”. L’evoluzione intervenuta riguardo alla persona “consiste nella imperiosa affermazione della sua libertà intesa come autonomia e indipendenza”: affermazione, questa, “tipica di tutta l’età moderna”, ma che oggi è arrivata “ad una sorta di esasperazione della individualità fino quasi a svincolarla da ogni forma di legame e di dipendenza”. Il risultato è “un individualismo esasperato”, che “ha fatto perdere di vista che la singola persona non sussiste in un aureo isolamento, ma può condurre una vita pienamente umana soltanto in una rete di relazioni e in un contesto sociale adeguato”. Il secondo cambiamento, che “interessa la società nel suo insieme”, è l’immigrazione: “Il fatto che l’Italia, come del resto diversi altri Paesi europei, accolga non meno di quattro milioni e mezzo di immigrati di altre nazioni e Continenti, di lingua, cultura, religione spesso molto lontane dalle nostre, ci ha abituato, senza troppi ragionamenti, ad accettare che la diversità e la pluralità fanno parte del nostro mondo e della nostra società”. Per mons. Crociata, si tratta di un’“evoluzione positiva, per la ricchezza di umanità che mette in circolazione e per l’apertura mentale e culturale, così come materiale ed economica, che richiede e rende possibile”. Ma essa “porta con sé anche interrogativi e questioni, che non riguardano solo l’armonizzazione sociale, giuridica, civica, economica. L’uguale dignità di ogni essere umano – si è chiesto ad esempio il Vescovo – comporta inevitabilmente che divengano equivalenti e quindi indifferenti i valori, le credenze, le tradizioni, le visioni della vita, e che quindi queste si riducano a merce esposta in uno sconfinato mercato dove ognuno acquista ciò che più gli aggrada?”. Due le “questioni più spinose”: “Su quali basi una comunità nazionale come quella italiana deve trovare i punti di riferimento della sua unità, se non vuole correre il rischio di frammentarsi e disperdersi in una varietà conflittuale di isole e di ghetti? È possibile raggiungere la certezza su ciò che è vero, giusto, buono, oppure (come torna a metterci in guardia Papa Benedetto XVI) il relativismo è destinato inevitabilmente a esercitare la sua dittatura sulle nostre menti e sulle nostre coscienze?”. Il terzo cambiamento, infine, “tocca le relazioni”: in un’epoca in cui “è possibile avere una comunicazione ininterrotta e illimitata con chiunque in qualsiasi parte del globo”, il rischio per contrasto è che “la tanto vantata soggettività individuale venga ad essere fagocitata e appiattita dentro una rete incontrollabile e anonima, nella quale la personalità inconfondibile di ciascuno e il suo mondo interiore si riducano a variabili irrilevanti”.