Educazione tra logos e pathos

l’editoriale

Non è un contenitore di attività improvvisate, una palestra per allevare campioncini, un dancing tutto feste e complessi musicali e nemmeno un cortile dove passare il tempo. È invece un ambiente umano che accoglie, una scuola di vita. Parliamo dell’oratorio, un “ponte – disse Giovanni Paolo II – tra la strada e la chiesa”. Un ponte che attende ancora di essere progettato, in molte parrocchie, nell’illusione che per i giovani possano oggi bastare episodiche iniziative o le tradizionali scuole di catechismo. Scriveva di recente su questo giornale mons. Goretti che, in passato, “la Chiesa ha voluto che vicino a ogni luogo di culto nascesse una casa per accogliere poveri e pellegrini. Oggi ci vorrebbe che vicino ad ogni chiesa nascesse un oratorio”. Come dire: l’antico adagio medievale nullum oratorium sine hospitio dovrebbe essere completato con quest’altro: nullum oratorium sine oratorio. Esso non è certo il toccasana di tutti i mali del mondo giovanile, ma è ancora oggi una valida risposta all’interrogativo più che mai ricorrente in ogni riunione pastorale: cosa fare “per” l’educazione dei nostri giovani? Beh, eliminando anzitutto quella particella “per” che è segno di un’azione educativa pensata per gli altri invece che “con” gli altri, dovremmo scommettere molto di più sull’oratorio: un luogo umano, prima ancora che spaziale, ove non si programmano iniziative “per” coloro che lo frequentano, ma insieme a loro; un ambiente capace di offrire a tutti, ragazzi, giovani, adulti e anziani un ampio ventaglio di esperienze positive. Pur vecchio di secoli – fu nel 1552 che san Filippo Neri cominciò a radunare accanto ad una chiesa romana un gruppo di ragazzi di strada – l’oratorio appare ancora oggi la presenza più moderna della Chiesa nel mondo giovanile, come testimoniano i circa 6 mila oratori italiani, di cui 1.500 nella sola diocesi di Milano, affidati a migliaia di operatori che, diversamente, non saprebbero forse trovare modi più efficaci per umanizzare la società ed evangelizzarla. Se è vero che la sfida educativa sta nel rendere interessante ciò che è importante, nel far sì che diventino anelli della stessa catena sia le ragioni che danno senso alla vita sia le emozioni che la rendono bella e affascinante, l’oratorio è il posto giusto ove questo può avvenire. Esso può infatti offrire ai giovani non solo un ampio ventaglio di esperienze – gioco, sport, teatro, musica, danza, ascolto, preghiera, incontri, turismo ecc. – ma anche l’opportunità di farle insieme. Esperienze coinvolgenti e compiute insieme: ecco ciò che i giovani cercano, secondo recenti indagini sui loro gusti.E se è vero che le svolte esistenziali – le conversioni, per usare un termine evangelico – avvengono attraverso concrete esperienze, più che con le parole, perché privilegiare ancora i discorsi? Se è vero che i giovani amano il gruppo – sono come i pinguini, è stato detto: da soli muoiono – perché privilegiare ancora l’educazione dei singoli? Se è vero che la forza dei ragionamenti è debole, perché non puntare anche sulla potenza delle emozioni? Coniugando logos e pathos, l’oratorio può divenire un moderno areopago per l’annuncio della “bella notizia” e la crescita della “vita buona”.

AUTORE: Vittorio Peri