Eurochocolate è anche dibattito culturale

La gola, tentazione dell’uomo dai tempi preistorici, continua ad attrarre e colpire ancora

La gola è uno dei sette vizi capitali per la Chiesa, in quanto atto moralmente illecito e cattivo esempio di condotta di vita; non è solo un desiderio d’appagamento immediato del corpo attraverso qualche cosa di materiale che provoca compiacimento, ma è l’incapacità di moderarsi, l’abbandono ai piaceri della tavola o, più in generale, all’oralità (alcoolisti e fumatori accaniti). Ma la “follia del ventre” (così era chiamato nel medioevo questo vizio) è ancora un peccato, o meglio, è ancora percepito dagli uomini d’oggi come tale? Questo, l’interrogativo di fondo posto al centro della tavola rotonda su “Il peccato di gola” organizzata da Eurochocolate, la manifestazione che si presenta al pubblico come un inno al piacere della cioccolata e dunque della gola.

Quattro donne, quattro docenti dell’Università di Perugia, hanno offerto approcci diversi al tema. La storica della Chiesa, Maria Duranti ha presentato in brevissima sintesi, la storia del peccato di gola da quando il mangiare rispondeva solamente ad un bisogno naturale da soddisfare tra difficoltà e pericoli, dovendo l’uomo impegnarsi per trovare il cibo guardandosi dal non divenire cibo per altri, alle situazioni in cui alla crescita socio-economica della società corrispose un nuovo approccio con il cibo tale da richiedere l’introduzione di regole e divieti subito sconfinati sul terreno religioso. “Ma il cibo è anche fattore di disuguaglianza”, ha afferma la giornalista de La Voce, moderatrice dell’incontro, Maria Rita Valli, portando all’attenzione la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone. In effetti, un bilione di persone nel mondo oggi muore di fame, poveri soprattutto.

A loro non resta che l’immaginazione di luoghi fantastici quali il “paese della cuccagna” o la creazione di proverbi dal sapore popolare in cui vince la moderazione più che l’eccesso, sembra trapelare dalle parole di Cristina Papa. L’antropologa ha sottolineato la differenza tra “gusto” e “piacere”, e i limiti del piacere, nei secoli in cui la povertà era diffusa e la tavola un piacere solo per i ricchi, fino ai nostri tempi in cui il peccato di gola è sempre meno riconosciuto come tale mentre eccessi e difetti nel rapporto con il cibo sono vere e proprie malattie da curare che si chiamano bulimia e anoressia. Il perverso fascino del peccato e del vizio, è stato narrato in letteratura e rappresentato nel teatro e nel cinema.

Francesca Montesperelli ha proposto un viaggio nella letteratura, quattro romanzi divenuti film che trattano del peccato di gola e del rapporto fra cibo e eros, da Chocolat di Harris Joanne, a La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl fino a Il pranzo di Babette di Karen Blixen.

Ha concluso la mattinata suor Roberta Vinerba, docente di teologia morale all’Istituto teologico di Assisi, nonché apprezzata autrice di libri e conduttrice di corsi per giovani e meno giovani sui grandi temi dell’amore e dell’innamoramento. Chiarito che l’oggetto del peccato, il mangiare, è una necessità vitale dell’uomo, suor Vinerba ha condotto la riflessione a partire dalla parola ebraica “nefesh” che significa contemporaneamente “gola” e “anima”, a indicare un “entrare dentro” che è sì il cibo ma anche la vita. “L’uomo – ha detto suor Roberta – non può darsi la vita da sé, ma aspira al bene più grande, la vita e l’amore”, e ogni tentativo di “riempirsi” di altro porta al peccato, ovvero porta a mancare l’obiettivo. Più che un precetto morale, allora, ha concluso suor Roberta, il peccato è un fallimento rispetto alla realizzazione del desiderio profondo e infinito di vita e di bene che si realizza nella relazione con gli altri e con Dio. Non è il mangiare un male in sé, anzi “la Bibbia mostra un Dio che ama stare a tavola con i sui amici”.

AUTORE: G. L.