Famiglia e Umbria identità discusse

Un ulteriore contributo dei cattolici alla revisione dello Statuto regionale dell'Umbria che torna in aula entro questo mese

AAvendo già contribuito in passato, come richiesto, alla elaborazione del nuovo Statuto regionale con il documento Contributo per lo Statuto della Regione dell’Umbria, intendiamo contribuire ulteriormente alla revisione di quel documento approvato in prima lettura dal Consiglio regionale con deliberazione n. 373 del 2 aprile 2004, ora sottoposto a seconda lettura. Siamo soddisfatti per l’attenzione mostrata al problema della sussidiarietà; lo siamo di meno per altre decisioni che ci interessano come cittadini particolarmente sensibili ai fatti educativi e alla famiglia. Il riferimento è all’art. 2, che, mentre accoglie i suggerimenti avanzati anche da questa Consulta per meglio rappresentare l’impegno dell’Umbria per la pace, per i diritti umani, la coesione sociale e l’accoglienza verso tutti, si rivela ‘ a nostro giudizio ‘ carente per la non menzione di certe coordinate storiche quali, il movimento benedettino e quello francescano, che sono nati in Umbria, l’hanno caratterizzata e la caratterizzano tuttora con la loro visione umanistica anche se religiosamente motivata, e si sono espansi in Europa e nel mondo intero, ove si conosce l’Umbria prima di tutto per queste ragioni. Anche sull’art. 5 comma 4 vorremmo vedere menzionata espressamente la famiglia, che è la prima titolare di diritti-doveri nei riguardi dei bambini e degli adolescenti.L’art. 9 presenta invece, a nostro giudizio, profili di dubbia legittimità anche costituzionale, che rendono necessaria una riformulazione. La locuzione ‘comunità familiare’ non trova riscontro nell’ordinamento costituzionale che fa riferimento solo alla famiglia definita ‘società naturale fondata sul matrimonio’ (art. 29 Costituzione). È vero che il termine ‘comunità familiare’ è già presente nello Statuto approvato nel 1992 e ancora vigente. Occorre però rilevare che il testo dell’art. 5 del suddetto Statuto non dà adito ad errata interpretazione perché è chiaro che il termine ‘comunità familiare’ è riferito alla famiglia costituzionale. Nella nuova formulazione, invece, si presta ad una interpretazione ambigua, consentendo di intendere come famiglia anche tutte ‘le varie forme di convivenza’ senza alcuna distinzione all’interno dell’ampia e differenziata categoria delle convivenze, e in particolare senza l’esplicita indicazione del carattere eterosessuale della convivenza. Tale mancata esplicita indicazione assume particolare rilevanza se ci si collega all’art. 5 del nuovo Statuto, che recita ‘La Regione concorre a rimuovere le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale’. L’equiparazione fra famiglia legittima e unioni di fatto non trova alcun fondamento nell’ordinamento costituzionale. L’infondatezza e l’inammissibilità di tale pretesa equiparazione è sancita dalla Corte costituzionale (sentenze n’8/1996, n’166/1998, n’352/2000, n’461/2000) che ha più volte ribadito la netta diversità della convivenza di fatto liberamente e in ogni istante revocabile da ciascuna delle parti, rispetto al rapporto coniugale caratterizzato da stabilità e certezza, reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal vincolo matrimoniale. La Corte costituzionale dal canto suo ha ribadito anche di recente, con ordinanza n. 121 del 20 aprile 2004, che esistono nell’ordinamento ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra famiglia legittima e unioni di fatto, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell’art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto fruisce in ogni caso della tutela apprestata dall’art. 2 della Costituzione riferito ai diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali. Inoltre la Corte ha ben messo in luce come l’equiparazione di tali situazioni risulterebbe, oltre che infondata, anche lesiva della libertà dei soggetti conviventi, i quali, scegliendo un rapporto di fatto, hanno chiaramente inteso sottrarsi alla pienezza del regime giuridico derivante dal matrimonio. Occore perciò distinguere tra famiglia legittima ed unioni di fatto, riformulando il testo approvato in prima lettura. L’articolo sancisca, perciò, che ‘la Regione riconosce i diritti della famiglia [da aggiungere: fondata sul matrimonio] e adotta ogni misura idonea a favorire l’adempimento dei compiti che la Costituzione affida ad essa’. Se poi si vuole richiamare l’attenzione sulle convivenze di fatto, che in ogni caso sono per noi delle condizioni di vita precarie che non tutelano adeguatamente i diritti né dei figli ‘ soprattutto minorenni ‘ né del partner più debole, si può inserire un possibile comma 2, per dire che ‘la Regione rispetta, com’è giusto che sia, altre scelte dei cittadini’.

AUTORE: Pasquale Caracciolo