Gesù dona la salute e il perdono

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia VII Domenica del tempo ordinario - anno B

Il Vangelo di questa domenica ci porta a Cafàrnao, nella casa di Pietro e di Andrea, scelta da Gesù come sua abitazione. C’è come una strana euforia in città: giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, in tanti si dirigono verso quella casa. Nei loro volti si legge la voglia di star bene e di essere finalmente felici. Anche se solo un gruppo riesce ad entrare, il clima è comunque di festa. La presenza di Gesù allarga sempre il cuore alla speranza, crea tranquillità e gioia. Sembra che costoro vivano le parole del profeta: “Non ricordate più le cose passate… Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43, 18-19).

In verità quelle persone si erano accorte che stava sorgendo una cosa nuova. E infatti la loro attenzione si era rivolta verso quel giovane profeta. Certo, vedendo tutta questa folla accalcarsi davanti alla casa dove sta Gesù, viene da chiedersi: non dovrebbe essere così per ogni nostra parrocchia, per ogni nostra chiesa, per ogni nostra comunità? non dovrebbe essere il cuore di ciascuno di noi come una porta per chiunque ha bisogno di amore e di sostegno? Il vangelo parla di un gruppetto di uomini che porta un malato davanti a Gesù. Sembra suggerire a noi, spesso distratti ed egocentrici, che i malati e i poveri hanno bisogno che qualcuno li aiuti, che stia loro vicino, che si interessi davvero della loro vita e della loro condizione.

Quel gruppetto di amici veri, non riuscendo ad entrare nella casa ove stava Gesù a motivo della grande folla, si arrampicano sul tetto, lo scoperchiano e con delle corde calano il malato davanti a Gesù. Davvero, l’amore non conosce ostacoli, fa trovare strade anche le più impensate! E così quel malato viene posto al centro di quella casa. Per la gente è il centro fisico, per Gesù diviene il centro delle sue attenzioni. Appena lo vede, infatti, lo accoglie e gli dice: “figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Sono parole di perdono, ossia di un’accoglienza che tocca le radici della nostra vita. Ma l’invidia acceca. E tra i presenti c’è chi pensa che quell’uomo ha bisogno di salute, non di perdono. No, potremmo dire: anche i poveri hanno un cuore, anche i poveri hanno un’anima. Essi non sono un caso sanitario o sociale da risolvere, ma fratelli e sorelle da accogliere e da amare fino in fondo.

Parafrasando un’affermazione evangelica si potrebbe dire: non di solo pane vivono i poveri, ma anche di amore. Sì, i poveri hanno bisogno di affetto e di compagnia. Gli scribi, quelli di ieri e quelli di oggi, attenti solo a se stessi senza alcuna preoccupazione per gli altri, si scandalizzano di una misericordia così larga. Essi accettano anche che si dia qualcosa a quel malato, persino la guarigione, ma non il perdono. Insomma, i poveri vanno aiutati, non messi a tavola con noi. I cuori gretti non riescono a concepire una misericordia senza limiti. Gesù, invece, che ama senza confini, non getta un’elemosina a quel malato e poi va via; si commuove e guarisce quel malato nel cuore e nel corpo; al perdono aggiunge la guarigione: “ti ordino – dice al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua”.

La parola di Gesù compie il miracolo di donare la guarigione totale a quel malato reintegrandolo nella sua piena dignità. Quel povero aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono e di guarigione. Del resto a che serve la salute fisica se si è cattivi nel cuore? A che serve guadagnare il mondo intero, se poi si perde l’anima? Eppure noi siamo arrivati sino a coniare quel povero e ridicolo detto: “quando c’è la salute c’è tutto!”. Il vangelo insegna che la vita sarà migliore se mettiamo al centro dei nostri pensieri il Signore e i poveri. E metterli al centro vuol dire sentirli come nostri parenti. Ma come, i poveri nostri parenti? Si potrebbe obiettare.

Sì, questo è il vero cambiamento richiesto a noi e al mondo intero. E non è un caso che Gesù usi il termine “fratello” per indicare sia i discepoli che i poveri: è la manifestazione di un legame inscindibile tra la sua Chiesa e i poveri. Aveva ragione la gente di Cafàrnao nel dire: “non abbiamo mai visto nulla di simile”. In effetti anche oggi, noi e il mondo, abbiamo bisogno di vedere cose come queste, abbiamo bisogno di vedere che i poveri e i malati siano messi al centro delle nostre preoccupazioni e siano risanati nel cuore e nel corpo. Se pensiamo al dramma di un mondo diviso tra pochi ricchi e un numero sempre crescente di poveri comprendiamo quanto ci sia bisogno che questo Vangelo sia ancora annunciato e soprattutto realizzato. È necessario continuare ad ascoltarlo e a proclamarlo. Se questo avviene anche noi potremo vivere la gioia di quella gente di Cafàrnao.

AUTORE: Vincenzo Paglia