Gesù fa un’inchiesta su Gesù

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXIV Domenica del tempo ordinario - anno B

Il Vangelo di questa ventiquattresima domenica del tempo ordinario si divide in tre parti: nella prima Marco riferisce di una piccola inchiesta sull’identità di Gesù (Mc 8,27-30); nella seconda abbiamo il primo annuncio della sua passione, morte, risurrezione, e la reazione scandalizzata di Pietro (8,31-33); nella terza si enunciano le condizioni per seguire il Cristo (8,34-38). Siamo nell’ultima parte del capitolo 8. Abbiamo lasciato Gesù che aveva guarito un sordomuto in terra pagana. Subito dopo, Marco riferisce di un altro scontro con i farisei (8,11-13). Poi, mentre erano in barca per passare ancora all’altra riva, Gesù fa una catechesi ai discepoli sulla fede, prendendo spunto da una questione di provviste di pane (8,14-21).

Successivamente incontriamo un cieco, che Gesù guarisce con cerimoniale analogo a quello usato per la guarigione del sordomuto. Oggi assistiamo alla partenza del gruppo verso il monte Hermon e le sorgenti del fiume Giordano. Durante la trasferta, Gesù lancia la piccola-gigantesca inchiesta di cui sopra: “La gente che dice di me?”. Risposta: alcuni dicono che sei Giovanni Battista risuscitato; altri che sei Elia; altri, più genericamente, pensano che sei un profeta, come quelli dell’antichità.

Non è difficile immaginare un’inchiesta simile che si lanciasse oggi: chi è Gesù secondo te? C’è chi risponderebbe che non è mai esistito, che è un’invenzione dei preti, che è un mito; i musulmani risponderebbero che è un profeta; la maggior parte degli intervistati risponderebbe, in modo politicamente corretto, che fu un grande maestro come lo furono il Buddha, Confucio, Socrate, Gandhi; un pittore una volta mi disse che era solo un morto in più. Una minoranza vi risponderebbe come rispose Pietro, che del resto non capì bene quello che diceva, perché lo disse “a orecchio”. Vedremo.

Riprendiamo il racconto di Marco. Gesù restringe l’inchiesta al gruppetto: “E voi che dite di me?”. Pietro si fa portavoce di tutti e proclama: “Tu sei il Messia”. Gesù li ammonì severamente di non farlo sapere in giro. Ci domandiamo il perché di tale ammonimento. Il motivo sta nella mentalità allora corrente, che associava spontaneamente la figura del Messia ad un guerriero senza macchia e senza paura, discendente di Davide; un forte che avrebbe ripulito il paese dai governi corrotti, lo avrebbe liberato dagli stranieri e restaurato l’antico regno di Davide. Tanti lo stavano aspettando. Con la voglia di libertà che circolava, si sarebbero uniti a lui in combattimento.

Questo pensavano anche i discepoli in quel momento, incluso Pietro. Gesù non diede loro tempo di correre con la fantasia e disse subito che lui era certamente il Messia, ma anche il Figlio dell’uomo che avrebbe molto sofferto, sarebbe stato rifiutato, e alla fine lo avrebbero ucciso, ma al terzo giorno sarebbe risuscitato. Considerati i loro schemi mentali, quel discorso era davvero incompren-sibile. Pietro s’incaricò di fare osservare al Maestro che stava dicendo cose assurde. Ma glielo disse discretamente, prendendolo in disparte. Gesù invece per un momento perse le staffe e davanti a tutti lo trattò proprio male: lo chiamò “satana”. E gli ingiunse di riprendere subito il proprio posto: dietro di lui; il suo modo di pensare non era secondo Dio, ma secondo il mondo.

Dopodiché Gesù si rivolge a tutti, discepoli e folla, e dice parole che stanno sullo spartiacque fra due modi di intendere la vita. “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Molti si domandano se bisogna prendere alla lettera queste parole, o se si tratta delle solite esagerazioni orientaleggianti. Questa volta non ci sono esagerazioni retoriche, ma le parole significano esattamente ciò che dicono. Proviamo a capirle. Che vuol dire “salvare o perdere la propria vita”? Ognuno di noi si porta dentro una domanda cruciale: che cosa devo fare per avere una vita riuscita, realizzata? Oggi più correntemente si dice “avere successo”.

Ognuno lo spera. Non necessariamente successi planetari; ma anche piccoli, casalinghi, purché soddisfacenti. Senza saperlo, tutto quello che facciamo, il modo di orientare le nostre scelte, le piccole lotte per sopraffare l’altro, tutto tende a rispondere a quella domanda. Stiamo cercando di “salvare la vita”. L’insoddisfazione però, che sempre ci accompagna, sta a dimostrare che la domanda rimane sostanzialmente inevasa. Non riusciamo a salvare la nostra vita. E così alla fine risulterà che l’abbiamo persa. Gesù capovolge l’ottica: “Chi vuole salvare la sua vita, accetti di perderla per me e per il Vangelo”. Esattamente quello che ha fatto lui, accettando di essere sconfitto; per questo ha visto il trionfo nella Risurrezione.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi