Gesù, il Messia capovolto

Commento alla liturgia della Domenica “FIRMATO” Famiglia XXV Domenica tempo ordinario - anno B

Nel Vangelo di questa domenica Marco prosegue nel rimarcare l’incolmabile distanza tra Gesù e i suoi. Il Maestro è ormai diretto decisamente verso Gerusalemme e per la seconda volta annuncia la sua passione, ma i discepoli “non comprendono” e non osano domandare spiegazioni.

Il malinteso non potrebbe essere più irriducibile: Gesù parla di servizio, i discepoli sognano il successo; Gesù parla di una strana “classifica” in cui i primi sono gli ultimi e viceversa, mentre i discepoli si sbracciano per conquistare il podio del vincitore; Gesù parla di croce, i suoi vogliono solo trionfi e applausi, scettri e corone.

Se l’evangelista non si fa scrupolo di riportare una disputa tanto sconfortante e francamente “indecente” per quelli che saranno i capi della futura Chiesa di Cristo, è perché il focolaio di infezione dovuto ai batteri dell’ambizione non è stato ancora cauterizzato dal fuoco della Pentecoste. In effetti, il virus dell’arrivismo fa ancora oggi strage anche dentro la Chiesa a ogni livello, e la “sindrome da primato” scatena protagonismi e competizioni, ingenera risse e contese, produce divisioni e conflitti.

Ma il Maestro non ha paura di portare la questione allo scoperto: chi è dunque il più grande? Gesù annuncia ai discepoli il suo destino rivolgendo loro l’invito a percorrere il suo stesso cammino, quello di farsi servo e accogliere i piccoli; il servizio gratuito e per tutti come programma di vita. Qui Gesù, maestro di vita, con estrema pazienza non giudica, non accusa, non rimprovera i discepoli, ma comunica la nuova legge, consegna la sua scala di valori.

La legge nuova è quella liberante dell’amore, che soppianta la legge mortale dell’egoismo. E per farsi capire, Gesù compie un gesto decisamente destabilizzante: prende un bambino, lo mette al centro e poi lo abbraccia, come a dire: “Attenzione! Voi discepoli siete abbagliati, cercate di sgomitare per salire sempre più in alto. Ma la gerarchia nel Regno dei cieli è una scala rovesciata: colui che è veramente grande è piccolo, e viceversa; e chi è veramente primo è l’ultimo, e viceversa”.

Il bambino infatti, secondo la mentalità del tempo, era il simbolo dell’uomo non ancora realizzato, l’ultimo di tutti. Diventa perciò l’immagine del discepolo perché è la copia conforme dell’originale, il Maestro, il quale “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò e umiliò se stesso” (Fil 2,6-8), letteralmente potremmo tradurre: “oscurò e azzerò se stesso”.

Ancora una volta Gesù si presenta come il Messia “capovolto”, l’inviato di quel Dio che ribalta classifiche. Come canta Maria, il Signore onnipotente “ha rovesciato i potenti dai loro troni, e ha innalzato gli umili” (Lc 1,52). Noi ci preoccupiamo di salire in alto per stare al di sopra degli altri, ma se Dio è sceso sulla terra e si è fatto piccolo come un bambino, risulta patetica e ridicola la nostra pretesa di innalzarci.

Del resto, il vero posto d’onore è quello più vicino a Gesù per poter essere da lui abbracciati, come quel bambino accolto con tenerezza dal Maestro. E quando abbiamo “guadagnato” quel posto nel suo cuore, cosa ci importa di titoli, poltrone e precedenze secondo gli effimeri criteri mondani? Il discepolo è grande non se occupa un posto in prima fila, se viaggia su una grossa auto blu o nera, ma se nella sua vita sa accogliere chi è senza importanza agli occhi del mondo.

Il discepolo è rispettabile se dimostra rispetto e onore verso quelli che non ne ottengono dai figli di questo mondo. Non dobbiamo inoltre pensare che l’ambizione riguardi sempre e solo gli altri: anche questo è un modo per “chiamarsi fuori” dalla mischia e per posizionarsi, anche solo di qualche centimetro, al di sopra degli altri. Tutti infatti siamo portati a mettere al centro della nostra vita non il più piccolo, ma il più grande, che poi è infallibilmente quasi sempre il nostro piccolo-grande “io”!

Un vero capovolgimento ci è richiesto, che serve certo a rovesciarci, ma per rimetterci in posizione eretta. “L’umiltà è quella virtù che, quando si ha, si crede di non averla” ammetteva con impietosa lucidità un nostro scrittore, Mario Soldati. Riconoscere onestamente e senza ombra di ipocrisia il proprio orgoglio è il primo segno che ci stiamo avvicinando alla vera umiltà, non certo quando ci siamo sottilmente illusi di esserci già arrivati.

Nelle relazioni tra sposi, in famiglia tra genitori e figli, nelle comunità religiose e nelle parrocchie, nei rapporti tra gruppi, associazioni e movimenti accettiamo l’insegnamento di Gesù e rinunciamo al desiderio sfrenato di essere al centro del mondo. È al prezzo di questa rinuncia che ci è dato di conformare la nostra vita a quella di Gesù, colui che ha scelto di fare strada a tutti, a cominciare dagli ultimi, senza farsi strada.

 

AUTORE: Paola Paolucci Maurizio Leonardi