Gioie e sofferenze di 30 anni da missionario in Brasile

Don Franco Albanesi racconta la sua esperienza in Brasile vissuta dal 1973 al 2003. Adesso vi ritorna per partecipare alla missione estiva della diocesi

Parte domenica la missione estiva della diocesi di Spoleto-Norcia a porto Velho in Brasile. Quattro giovani insieme a don Franco Albanesi, missionario Fidei Dominum proprio in Brasile per molti anni, andranno principalmente ad animare i centri per bambini. Abbiamo chiesto a don Franco, attualmente rettore del santuario del beato Pietro Bonilli a Cannaiola di Trevi, di raccontarci la sua esperienza missionaria. Don Franco, quando e come mai decise di partire per il Brasile? ‘Era nel marzo del 1973. Io ero rettore al seminario minore di Spoleto L’allora arcivescovo mons. Giuliano Agresti mi chiese di ospitare un Vescovo brasiliano presente in diocesi. Questi chiese la possibilità di avere un sacerdote per il Brasile, e tra un discorso e l’atro mi convinsi a partire. Fondamentale fu la sensibilizzazione sulla missione che si stava costituendo in Brasile che, per tutta la diocesi, fece l’attuale arcivescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, al tempo nostro vicario generale. Quindi sono partito nel lontano 1973, per fare ritorno nel dicembre 2003’. Che situazione trovò appena arrivato in Brasile? ‘Il Vescovo brasiliano mi chiese di fare il direttore del seminario. Contemporaneamente prima mi mandò anche nella parrocchia di Santa Lucia, per poi trasferirmi in quella di Nostra Signora de Amparo, da me costruita e retta per quattordici anni. Trovai una situazione molto pericolosa: c’erano costanti minacce di morte, i latifondisti rivendicavano i loro diritti, i bambini vivevano in situazioni pietose, le abitazioni erano fatiscenti, dei servizi sociali neanche lontanamente si conosceva il significato. Fu molto difficile. Affidammo il nostro lavoro alla protezione della Madonna de Amparo, che vuol dire rifugio’. In che modo Lei, insieme all’aiuto costante della diocesi di Spoleto-Norcia, le Suore della Sacra Famiglia e i numerosi volontari avete cercato, per quanto possibile, di porre rimedio a questa situazione? ‘Anzitutto con le adozioni a distanza, per cercare di alleviare le sofferenze dei più piccoli. Fu un’iniziativa partita molti anni fa e che ha trovato sempre molta disponibilità negli spoletini. Poi, da Spoleto, ogni anno partivano, e continuano a farlo, giovani che per un mese si dedicavano alle necessità più urgenti: l’aiuto nella costruzione di una Chiesa, l’animare campi per bambini sono alcune della attività svolte. Pastoralmente ho creato delle comunità di base, le quali hanno una loro autonomia, per operare nei vari ambiti della pastorale. L’ultimo centro che ho creato prima di rientrare in diocesi è stato quello intitolato a madre Teresa di Calcutta che, ogni giorno, raccoglie 300 ragazzi, fornendo loro cibo, servizi sociali, divertimento e tutto ciò che di volta in volta si rende necessario’. Fare un bilancio di trenta anni è difficile, ma qual’è il ricordo più bello che si porta nel cuore? ‘Non potrò mai dimenticare la felicità nel vedere un bambino crescere. Ci sono uomini che ho battezzato, comunicato, cresimato e sposato. Ogni uomo o donna realizzati, per me sacerdote era una gioia immensa. Vedere, poi, il fiorire della Chiesa ministeriale, cioè i laici, mi ha dato una spinta maggiore a continuare nella missione’. Ed ora, anche se solo per un mese torna nel ‘suo Brasile’. ‘Proprio così. Quest’anno accompagno i giovani della diocesi nella ormai ‘tradizionale’ esperienza estiva, ma ogni anno un mese vado a Porto Velho, dove tengo dei corsi intensivi di greco biblico sia in seminario che all’università. Il mio augurio è che molti giovani della nostra arcidiocesi possano vivere una esperienza missionaria, fonte inesauribile di vita’.

AUTORE: Francesco Carlini