Tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi degli anni ‘70 la sede della Fuci, in piazza Piccinino, era dirimpettaia dell’Istituto Giancarlo Conestabile, fondato questo da monsignor Luigi Piastrelli, autorevole esponente del Modernismo; a poche decine di metri, nel chiostro della Cattedrale di San Lorenzo, la Biblioteca Domenicini era luogo privilegiato di letture ragionate; poco più avanti, in via del Verzaro, il Centro Ecumenico ed Universitario San Martino si apriva, attraverso il dialogo interreligioso, alle sfide del Concilio Vaticano II. Questo percorso, che fu quotidiano, ricomprende lo spazio nel quale monsignor Bromuri esercitò il suo Magistero. Negli anni si aggiungeranno il Centro di Accoglienza di via Bontempi e la redazione del settimanale La Voce.
L’impegno di don Elio nella Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana)
Richiamare questa topografia aiuta a ripercorrere l’opera di don Elio; anche se credo sia stato, da parte mia, un gesto temerario accettare di svolgere un compito così impegnativo. Mi rimanda, peraltro, ad un tempo remoto: gli anni nei quali, da presidente della Fuci, ebbi il privilegio di vivere una quotidianità di impegno con lui. A tale distanza temporale le emozioni, le nostalgie possono prevalere sulle analisi puntuali e la controllata filologia che i diari richiedono per evitare di isolare il personaggio in una dimensione agiografica. Ho precisa memoria della sera nella quale mi presentai a lui nella Chiesa della Università, con me una lettera con la quale il mio parroco gli chiedeva di accompagnarmi nel mio nuovo cammino. Entrai, così, in Fuci.
Era un tempo nel quale soffiava, impetuoso, un vento di contestazione ed era crescente una domanda di cambiamento; “siate realisti, cercate l’impossibile” era il motto del maggio francese che teneva la scena. In questo contesto la politica assumeva una nuova centralità. Il rapporto con don Elio mi consentì di cogliere il senso di questa nuova complessità, di assumere la concretezza di una riflessione capace di affrontare i problemi e non rimuoverli, di capire che il futuro comincia quando il rifiuto è progetto.
olsi, soprattutto, quanto l’esperienza cristiana definisse il terreno proprio della politica, il suo spazio di autonomia, la sua distinzione rispetto ad una concezione sacrale e pagana. Emerse una dimensione spirituale e una mitezza della politica, in grado di leggere il confine tra il bene e il male, allontanare la tentazione della ricerca di un potere fine a se stesso, guidare il processo di riconduzione al bene comune, rifiutare ogni conflitto distruttivo della convivenza giacché una democrazia conflittuale è destinata a rimanere ineluttabilmente aporistica.
La dignità della persona nella politica
Corollario di questa visione della politica è il valore assoluto della dignità della persona, che salda – ricordava don Elio – l’ispirazione cristiana all’opzione democratica, nella sua declinazione di tolleranza, e la alimenta secondo un dovere di solidarietà. Non può, perciò, il cattolico in politica trascrivere parole che rimangono di altri, consegnarsi ad una sopravvivenza opaca o associarsi nella ricerca di una accentuazione integrista.
Il centro di accoglienza di via Bontempi
Ho richiamato le tappe del quotidiano cammino di monsignor Bromuri e in tutte queste c’era una valenza messianica e politica insieme. Vale, ancora, richiamare il dono dell’ospitalità che Egli rese compiuto nella realizzazione del Centro di via Bontempi, luogo di una ospitalità strutturale attenta a tutelare soggettività e dignità dell’ospite.
L’esperienza di don Elio come direttore de La Voce
Ed infine vorrei richiamare l’esperienza del settimanale La Voce , che per lunghi anni diresse, con il quale assecondò il crescere della Chiesa locale, rendendola più consapevole che la comunione ecclesiale è una realtà che ci precede e ci governa. Ne conseguì, anche, una informazione che non individuava bersagli da colpire ma, semmai, integra una denuncia profetica e si impegna nella tessitura di una contestualità ecclesiale e sociale. Tutto questo mons. Bromuri lo realizzò con la fatica silenziosa e la sobrietà dei gesti, insegnandoci che i magisteri non esigono tracce abbaglianti ma durano se sono posti in una luce discreta. E a durare è il suo insegnamento a non declinare, in politica e altrove, in un limite le complessità ma a guadagnare, attraverso la forza della Fede, una tensione ad attraversarle e superarle.
Giovanni Paciullo




