Giubileo eucaristico a Orvieto e Bolsena

A che cosa “serve” un tale evento in un momento come questo? “Serve” al bene supremo della rigenerazione

Viviamo in grave difficoltà economica e sociale, con un futuro incerto: ha senso indire un Giubileo eucaristico per ricordare degli avvenimenti accaduti molti secoli fa? Questa domanda è attraversata da quel sottile senso di mondanizzazione che pervade anche i cristiani e il mondo ecclesiale. Qualche volta perdiamo la bussola degli autentici riferimenti, soprattutto il senso del primato di Dio. Dopo la Seconda guerra mondiale, che aveva lasciato ingenti miserie materiali e morali, ci fu nella Chiesa un gran movimento intorno alla figura della Madonna, organizzando la peregrinatio dell’immagine di Maria, in alcune parrocchie perfino casa per casa. Naturalmente il “pensiero dominante” le bollò come le solite manifestazioni arcaico-sacrali, oppure come strategie dei preti per motivi politici. Dietro questi avvenimenti vi era invece il desiderio di una rigenerazione della persona nell’anima e nel corpo, e di portare riconciliazione tra gente che si era combattuta e odiata.

Anche oggi c’è bisogno di essere rigenerati, come cristiani e cittadini. Indire il giubileo è riaffermare il primato della grazia, la presenza di Dio che ricrea, che dà speranza, che riporta il cristiano a un nuovo ardore per la propria fede. Confessarsi, ricevere la Comunione e visitare la basilica di Santa Cristina a Bolsena o il duomo di Orvieto per ottenere l’indulgenza, non ci sembra poi un grande avvenimento, perché ci siamo troppo mondanizzati, abbiamo dimenticato la nostra vocazione di cristiani: “In lui [Cristo], Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità…” (Ef 1,4). Questo giubileo che s’inserisce nell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI, è un dono alla nostra Chiesa particolare che lo estende a tutto l’“orbe” cattolico. La rigenerazione è un fatto non solamente personale, una pia devozione in più, ma è un balsamo di guarigione anche per il nostro tessuto ecclesiale. Le “ferite personali ed ecclesiali” si guariscono con le mani di Cristo. È un dono dell’arcivescovo mons. Giovanni Marra che, portando a termine la sua difficile missione apostolica, per mandato del Papa ci apre una porta, perché il popolo di Dio che è in Orvieto-Todi ne attraversi la soglia ed entri nella grazia del Signore, sanando le ferite inferte dal Maligno. Come ci ricorda l’apostolo Pietro: “Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore gli uni gli altri, rigenerati non da seme corruttibile ma incorruttibile…”. Devote esortazioni e utopie ecclesiali? No, da qui si deve procedere per la nuova evangelizzazione, e la costruzione di un mondo migliore. Se partiamo dal Signore, allora tutte le strategie pastorali saranno efficaci. La pastorale non è una tecnica ma è passione d’amore, un fuoco che arde: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12, 49). È questa la perenne missione della Chiesa e del cristiano per questo nostro tempo così diverso dal passato, ma pronto a ricevere la grande speranza. “Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine”. (Benedetto XVI, Porta fidei).

AUTORE: Don Marcello Cruciani