Gli ortodossi fanno digiuno ma poi cantano

Le tradizioni natalizie delle comunità estere presenti a Perugia

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…”: è un frammento del prologo di Giovanni che verrà proclamato durante la liturgia della mattina di Natale. E, com’è vero che Gesù, il Verbo, si è incarnato in un preciso momento storico, assumendo una particolare fisionomia, una propria “nazionalità”, è altrettanto vero che è venuto ad abitare in mezzo a tutti noi, uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Ciascuno con vissuto, cultura e tradizioni differenti. Pertanto, differenti sono anche i modi di accostarsi al mistero del Dio bambino, di prepararsi al Natale (cristianamente inteso), di viverlo e festeggiarlo. In una città cosmopolita come Perugia, poi, la forte presenza di persone di altre nazionalità e confessioni religiose arricchisce ulteriormente la gamma di tradizioni sia liturgiche che familiari di preparazione al Natale. C’è da restare stupiti dalla somiglianza quasi perfetta tra le tradizioni nostrane e quelle della comunità africana del Villaggio San Francesco, guidata da padre Jean Koutoua, frate cappuccino, responsabile della Pastorale per i migranti cattolici della diocesi di Perugia. Quasi perfetta, dicevamo: durante la sera della vigilia di Natale si cena in famiglia, nelle case già decorate col presepe e l’albero e, infine – qui sta la differenza sostanziale – tutti insieme intorno alla mensa si canta di gioia, si danza dalla felicità. Anche per la comunità greco-cattolica ucraina che si riunisce all’Oasi di S. Antonio – ci riferisce padre Igor Krupa – degna di nota è la vigilia di Natale (festeggiato il 7 gennaio secondo il calendario giuliano, come per gli ortodossi russi) che comincia con il digiuno fino a sera, momento in cui le famiglie si riuniscono per una grande cena, ricca di dodici portate diverse, non prima di aver acceso una candela per i defunti e pregato per loro. Il giorno di Natale, dopo la messa solenne interamente cantata e il pranzo, le famiglie vanno di casa in casa cantando canti tipici natalizi. Incontrando padre Roman Mis, frate cappuccino, e la sua comunità cattolica polacca (anch’essa si riunisce all’Oasi di S. Antonio), scopriamo un modo significativo di scambiarsi gli auguri nel giorno della nascita di Gesù: si spezza e ci si dona reciprocamente un’ostia (ovviamente non consacrata). Anche in Polonia è tradizione cenare in famiglia e cantare i cosiddetti colenda. In realtà tutte le comunità provenienti dall’Est-Europa hanno una cultura forte dei canti tradizionali natalizi, a prescindere dalla confessione religiosa. Vengono chiamati con nomi molto simili fra loro: colenda in Polonia, come già accennato, colinde in Romania, colindi in Russia… “Sono più che canti – ci spiega padre Radu Ionut, responsabile della comunità ortodossa romena di San Barnaba -, sono un annuncio della buona notizia della nascita di Gesù, una sorta di teologia popolare del Natale”. Per rendere questo patrimonio più fruibile, padre Radu sta pensando a una traduzione in italiano di questi canti. Comune a tutti gli ortodossi è il digiuno propedeutico alla celebrazione del Natale. Dura quaranta giorni, nei quali è proibito mangiare carne e latticini ed è permesso soltanto il pesce tranne il mercoledì e il venerdì, giorni di digiuno totale. Durante questo periodo è frequente il ricordo e la preghiera per i defunti. Un’altra peculiarità romena è quella della sera del 25: si visitano gli amici e si fa loro dono di pietanze preparate appositamente, così come faranno gli ospiti con chi va in casa loro; uno dei piatti tipici è il tacchino in gelatina. Sempre in Romania, dal 25 dicembre al 5 gennaio, i bambini cantano una canzone che ha come protagonista la stella che guidò i Magi alla mangiatoia di Betlemme e ne portano in processione un modello di cartone. Padre Nicolae Dragutan, della comunità russo-ortodossa della chiesa di San Giuseppe, ci conferma grosso modo le tradizioni della cena della vigilia, dei regali sotto l’albero, dei canti itineranti. Tornando ai piatti tipici, padre George Kherchidze, sacerdote greco-ortodosso di San Gerasimo, di origine georgiana, ci racconta come, dopo il digiuno di quaranta giorni, sia uso locale mangiare una piccola porchetta o, comunque, carne di maiale e torrone di arachidi. I bambini, poi, andando di casa in casa, portano cantando dei piccoli sacchi in spalla pieni di doni per vicini e parrocchiani. Uno dei canti con cui essi rallegrano questo “rito”, tradotto per noi dallo stesso padre George, sembra la sintesi più efficace di ogni tradizione: “25 dicembre: Cristo è nato in terra, alleluia, alleluia”.

AUTORE: Edoardo Caldarola