Gli stranieri preferiscono ritrovarsi tra connazionali

Esperienze di educazione interculturale al Cidis-Alisei di Perugia

Alle iniziative di promozione di una educazione aperta al dialogo interculturale e alla integrazione sociale degli stranieri, che hanno un qualche legame con le istituzioni pubbliche, legami spesso di ordine economico finanziario, ve ne sono altre di persone e gruppi privati che sono collegati con le parrocchia e con le comunità di accoglienza e di ascolto sparse nel vasto territorio dell’Umbria. Si può facilmente affermare che l’offerta di educazione, informazione, a livello di base è più alta della domanda. Non perché non vi sia la necessità, ma manca la disponibilità, il tempo, la sensibilità. Faccio un esempio. Al Centro di accoglienza -ostello di via Bontempi è attiva da anni un’iniziativa portata avanti da volontari che è chiamata “conversazioni tra italiani e stranieri” che ha un buon successo. Ma quelli che la usano e la frequentano sono soprattutto europei e occidentali. Molto di meno sono giovani che provengono da paese poveri. Questi hanno spesso problemi di sopravvivenza che rende loro difficile anche solo pensare di dedicare del tempo a qualcosa d’altro che non sia la ricerca di lavoro e di aiuto. Altro motivo, più profondo, può essere ricercato in una precomprensione culturale secondo cui queste persone si sentono soddisfatte di ciò che sono e ciò che sanno e non sentono alcuna necessità di entrare in mondo culturale diverso dal loro. Con le dovute eccezioni.Cidis Alisei è un organizzazione non governativa (ong), nata nel 1998 dalla fusione di due associazioni, Nuova Frontiera e Cidis, attivi sin dagli anni ’80 nel campo della integrazione internazionale e dell’educazione interculturale. La sede di Perugia è in via della Viola, dove è anche aperto uno sportello per immigrati, dove si possono ricevere informazioni sulla nuova legge. Nel corso degli anni presso la stessa sede sono stati svolti dei corsi per insegnanti, attraverso degli operatori preparati dal Cidis stesso, spesso dei volontari, progetti di formazione per colf o per assistenti per anziani, per ostetriche che lavoravano con gli immigrati, ma anche paramedici e infermieri. Da cinque anni si sta occupando dei bambini stranieri. Negli ultimi tre in collaborazione con la Regione Umbria, ha portato avanti un progetto per conoscere le dinamiche di inserimento di integrazione degli immigrati nelle nostre scuole, ma già qualche anno prima aveva svolto delle attività di sostegno nelle scuole e nel dopo scuola, anche attraverso dei mediatori culturali. Per la maggior parte degli insegnanti la lingua sembrava rappresentare la difficoltà maggiore per i bambini stranieri, sono stati così organizzati dei corsi di aggiornamento e formazione per insegnanti a Perugia, Terni e Foligno. A conclusione del terzo anno è stato portato avanti un lavoro, sempre nelle stesse scuole, per vedere quale risultato avesse avuto la preparazione degli insegnanti nell’inserimento scolastico dei bambini. I risultati di quest’ultima ricerca verranno pubblicati entro l’anno. “Oltre alla formazione degli insegnanti – spiega Stella Fiorentino responsabile Educazione interculturale di Cidis – Alisei di Perugia – è necessario che la scuola tutta si faccia carico del giovane e delle sue diversità”. Quanti insegnanti hanno cognizione di quello che avviene al di fuori della scuola? – si domanda. Certo – prosegue – non sempre è facile parlare con i genitori, ma il problema a volte è tutto lì. Ci sono spesso dei problemi legati alla famiglia, alla sua condizione lavorativa e abitativa che certo non agevolano l’inserimento del giovane nella scuola. Il senso di sdraricamento, i lunghi periodi di lontananza dalla famiglia, la precarietà della famiglia stessa in Italia, la situazione di irregolarità, ma soprattutto la mancanza di informazione e la solitudine rappresentano dei fattori di rischio per l’abbandono scolastico e a volte per fenomeni di devianza. Altro problema – prosegue – è quello dell’inserimento al di sotto dell’età anagrafica. Spesso li porta ad avere di sé un immagine di poco prestigio e qualcuno assume atteggiamenti di rifiuto”. Annabelle Pantella è stata per cinque anni operatrice culturale del Cidis. Come volontaria ha seguito gruppi di adolescenti stranieri nei centri estivi. Francese, figlia di padre immigrato italiano, sta per laurearsi in Lingue a Perugia, con una tesi in Pedagogia interculturale. “Quando sono stati aperti i centri estivi abbiamo sempre voluto conoscere anche i genitori. L’integrazione – sostiene – passa anche attraverso di loro, ma è importante che anche noi creiamo loro delle occasioni perché si integrino, fornendo i mezzi per poter capire come funziona la scuola, le sue regole, i suoi obblighi. Questo nella scuola purtroppo non è così scontato. Diverse sono le situazioni di disagio, spesso individuali e legate a motivi familiari: “un bambino albanese, i cui genitori non avevano il permesso di soggiorno, una volta mi confidò che non raccontava mai di essere albanese, tanto, diceva, conosco l’italiano molto bene”. Annabelle ricorda anche quanto ha dovuto faticare perché due bambine, una di colore e una cinese parlassero tra loro e si prendessero per mano: alla fine sono diventate amiche. In un’altra occasione, il problema riguardò una bambina cinese. Annabelle fu mandata a parlare con la scuola della bambina per capire il perché di un inserimento di due anni indietro: “la madre non riusciva a capirlo e la bambina non l’aveva accettato”. Alla fine, decisa a recuperare almeno un anno di ritardo, studiando tutto il giorno, è riuscita a superare l’esame. Storie che si risolvevano bene, sottolinea, ma non sempre succedeva. Ricorderà per sempre il caso di una ragazzina di 12 anni della Costa d’Avorio. Era arrivata in Italia dopo che i suoi genitori l’avevano lasciata con i nonni per sette anni. Abitava in un paese piccolo, la loro era l’unica famiglia di colore. Inserita nella II elementare, non si sentiva a suo agio con le bambine più piccole che non condividevano le sue stesse esperienze adolescenziali. A scuola non parlava mai, non comunicava, spesso era assente. “Le maestre hanno richiesto che io partecipassi alla lezione insieme a lei. La speranza che io francese, per lei era la sua seconda lingua, potessi riuscire a fare da mediatrice. Riuscivo a comunicare con lei, ma il rifiuto della scuola – durante la lezione ascoltava la musica con le cuffiette – e dell’ambiente in cui abitava non cambiava. Alla fine è stato necessario l’intervento della psicologa. Purtroppo è finita che lei è tornata nel suo paese”. Gloria Marocchini ha svolto come tutor, per conto del Cidis, un corso di italiano per stranieri all’istituto Tecnico commerciale Vittorio Emanuele II di Perugia. Giovani soprattutto del Perù, Equador e Cile, qualche russo e della Costa d’Avorio, arrivati in Italia da circa un anno. Frequentandoli nel corso delle lezioni Gloria ha capito che il loro problema non è solo quello della lingua: per loro conta molto essere accettati, avere degli amici. Un’esigenza che sentono soprattutto i primi tempi – racconta Gloria – . Al di fuori della scuola i rapporti con i compagni di classe sono quasi inesistenti. In genere legano con i propri connazionali, gruppi ormai inseriti a Perugia da qualche anno, con i quali frequentano locali latino-americani.

AUTORE: Manuela Acito