I cappellani delle carceri umbre si interrogano su come aiutare i detenuti a ritrovare la speranza

Riscoprire la fraternità tra quelli "di dentro" e quelli "di fuori"

Se ne parla, ogni tanto: a maggio per i gravi fatti di Sassari; a luglio per il Giubileo dei carcerati – con la richiesta del Papa (non ascoltata) di un gesto di clemenza…-; se ne è parlato, tra “addetti ai lavori”, in due occasioni nazionali: un incontro, a Roma, del ministro della Giustizia, Fassino (e del direttore dell’Amministrazione carceraria Caselli) con tutti i cappellani d’Italia; e un altro, a Terni, organizzato dal coordinamento nazionale del volontariato di giustizia.Anche noi cappellani dei carceri dell’Umbria ci siamo incontrati varie volte, e continueremo a farlo: per domandarci come aiutare questi nostri fratelli “di dentro” a ritrovare le vie della speranza, e come aiutare anche i nostri fratelli “di fuori” – tutta la comunità cristiana, voi che state leggendo… -, a ritrovare (o trovare) le vie della fraternità operosa e accogliente. In Umbra ci sono 4 carceri (Perugia, maschile e femminile, Terni, Spoleto e Orvieto). Con che animo noi cappellani entriamo dentro, lo possiamo intuire leggendo Gesù e la gente affamata che Lui nutre moltiplicando (o aiutando a condividere) i pochi pani e i pochi pesci (Giovanni 6). C’è il primo momento, la fame di pane: Gesù non la disprezza… “Pane” è ogni richiesta materiale, o di un servizio (un po’ di soldi per qualche necessità, o per le sigarette – !!! -, o una telefonata all’avvocato o ai familiari…).C’è poi un secondo livello, quando Gesù parla di un altro “pane”: è il momento della confidenza, dello “sfogo”, quando cercano comprensione umana, quando piangono o sorridono e vogliono condividere sentimenti e sensazioni…C’è infine il momento più alto, quello a cui tutto tende: è quando Gesù annuncia che il “pane” del cielo è Lui stesso. E qui si opera la scelta, molti vanno via… restano i dodici discepoli, ma anche da loro Gesù chiede una decisione, “volete andarvene anche voi?”. La risposta di Pietro vorrebbe essere anche la nostra – e vorremmo lì condurre i fratelli carcerati -, “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. In questo servizio noi cappellani siamo aiutati da tante persone: volontari “generali” (sono disponibili per ogni richiesta, vestiti, lavoro…), e volontari per la evangelizzazione e catechesi. E’ grazie a loro che la Parola risuona più profondamente tra quelle mura così grigie; è grazie a loro che risuonano salmi e canti – come nel carcere di Filippi, quando Paolo e i suoi compagni vengono arrestati e torturati per il Nome di Gesù Cristo. (Atti degli Apostoli) Ma la comunità dei cristiani, quella delle nostre parrocchie, quella che va alla Messa la domenica, come vive questa fraternità? Come vive l’esigenza del Signore “ero carcerato, e site venuti a visitarmi”? Visitare: nella sua riflessione, il dott. Giancarlo Caselli ha citato proprio questo passo del Vangelo, sottolineando come è vero e profondo questo verbo. Visitare, da parte di chi viene da fuori: non può far molto, dal punto di vista dell’efficacia dell’intervento; ma nel suo visitare c’è il desiderio di essere accanto, non da straniero…Essere visitato, da parte di chi è dentro: non può pretendere quello che nessuno può dargli, o la pace del cuore, o la fine della pena! Ma con un altro presente, forse la sua solitudine non è così assoluta. Tuttavia, entrare in carcere, anche per fare volontariato, non è facile. La comunità cristiana può intervenire quando il carcerato esce dal carcere, dopo avere scontato la pena. Gli manteniamo il marchio di “ex”? ci fidiamo di lui? Lo aiutiamo per reinserirsi nella società e trovare lavoro, e ricostruire la sua famiglia, o lo abbandoniamo al suo destino? La risposta non basta scriverla su un foglio, o che la dia chi scrive un articolo di giornale: dipende da ognuno di noi, il sì o il no lo scriviamo noi quando qualcuno di loro verrà a bussare alla nostra porta… e, a guardare nel profondo, “forse è Gesù che cerca te”.

AUTORE: Don Saulo