Annoto alcune considerazioni sul problema del ruolo dei cattolici oggi in politica, anche tenendo conto delle scadenze elettorali che ci attendono nel prossimo biennio. La prima. Si dice, ed è in parte vero, che l’elemento caratterizzante e nuovo della stagione apertasi dopo la scomparsa della Democrazia cristiana è il venir meno dell’ “unità politica” dei cattolici. Ammesso che questa unità sia stata in passato veramente tale, c’è però da osservare che ciò su cui va puntata l’attenzione è che il pluralismo nato da questo processo si caratterizza per essere un pluralismo dimezzato: non sono di fronte infatti progettualità connotate da diversità rilevanti in termini di cultura politica, ma frazioni di un mondo ormai scomparso che si distinguono e si dividono sulla base di interessi contingenti e di quote di potere. E’ il “mercato politico” che fa da criterio di riferimento. Seconda considerazione (conseguente alla prima). Questo non ha niente a che fare con un passo in avanti della “laicità” della politica cristianamente ispirata, ma è solo la versione imbruttita degli aspetti che erano già giustamente indicati come negativi in alcune manifestazioni del costume democristiano. Quello che un tempo era il sottoprodotto di un sistema partitico “bloccato”, in cui il consociativismo prendeva il posto della dialettica normale in ogni democrazia, oggi è diventata la regola. Lo “sblocco” del sistema ha partorito questo effetto perché niente è stato fatto per incrementare il livello di tenuta morale e di formazione democratica delle classi dirigenti che man mano venivano avanti mentre le vecchie prime linee cedevano il passo. L’asfittica prospettiva delle riforme istituzionali (varate sempre a metà) ha oscurato ogni altra possibilità di “riforma intellettuale e morale”, con la conseguenza che il ricambio nel ceto politico ha lasciato com’era, quando non ha peggiorato, il livello medio dell’etica pubblica che domina i comportamenti delle forze in campo. I cattolici (terza considerazione) sono stati coinvolti a fondo in questo processo. Se si prende, per esempio, il caso della “Margherita”, è evidente come il debito di progettualità culturale contratto rispetto a ieri, unitamente alla mancanza di un vero interesse in questa direzione, abbia impedito un loro apporto significativo alla delineazione di una forza politica con una sua definita identità. E dove identità non c’è, il primo piano è preso da tattiche di corto respiro (come quelle cui anche in questi mesi assistiamo). Quindi: per un verso, anche nella nostra regione, i cattolici in politica si dividono sulla base di considerazioni e disegni poco più che personalistici e lasciano senza risposta le domande del pur frastagliato mondo cattolico che ancora pensa a una politica di più alto profilo. Per altro verso, quando un minimo di unità si trova, a fatica, su alcuni temi (la pace, la difesa della famiglia tradizionale, la tutela del diritto alla vita), questa unità si offre ai facili attacchi del cosiddetto mondo “laico”, al quale fa ovviamente comodo un fronte cattolico diviso anche sui principi di fondo: si marcia con i cattolici per la pace, salvo poi attaccarli quando questi ultimi si schierano contro le coppie di fatto, senza capire che c’è un saldo legame tra le due posizioni. Ma la fecondità di questo legame non arriva a tradursi, per i cattolici, in efficacia politica duratura, in un disegno coerente. Si deve tornare al passato? Com’è ovvio, no. Ma tra tornare al passato, da un lato, e, dall’altro, pacificarsi con l’idea che ormai non esiste strada diversa che abbandonare il problema di come ripensare oggi un’identità dei cattolici in politica, spostando invece tutto sul piano della contrattazione lobbistica e/o personalistica, il passo è lungo.
I cattolici tra progetto e ‘mercato politico’
AUTORE:
Roberto Gatti