Il campo di prigionia di Ruscio

Seminario di studio a Monteleone di Spoleto: in una pubblicazione ricostruita la storia del sito
Veduta panoramica del campo internati di Ruscio a Monteleone di Spoleto
Veduta panoramica del campo internati di Ruscio a Monteleone di Spoleto

Venerdì 19 luglio, alle ore 10, nel Teatro comunale di Monteleone di Spoleto, nell’ambito delle iniziative per la festa di San Felice, si tiene un seminario di studio su “Lavoro obbligatorio in Umbria (1942-1943). Il caso del campo di prigionieri di guerra di Ruscio”.

La storia del campo Pg 117 di Ruscio è stata ricostruita di recente da Dino Renato Nardelli dell’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea.

Della sua esistenza se ne erano perse le tracce, salvo il ricordo di alcuni testimoni del paese di allora, la cui testimonianza è stata raccolta di recente ai fini della ricostruzione della storia, confluita oggi nella pubblicazione Il campo di prigionia Pg n. 117. Un caso di sfruttamento del lavoro obbligatorio in tempo di guerra (1942 – 1943) in Quaderni di Ruscio, n. 9 2013 (Edizioni “La Barrozza”) sostenuta dalla associazione Pro Ruscio e che viene presentata nell’occasione del seminario. “In più – spiega Nardelli – ad avvalorare l’esistenza di questo campo ci sono due foto trovate occasionalmente nel sito della Pro Ruscio, nelle quali sono ritratti alcuni personaggi tra i quali il nunzio apostolico della Santa sede card. Francesco Borgoncini Duca, ritratti davanti a due baracche della miniera di lignite di Ruscio durante la visita al campo. Da altre fonti si aveva infatti notizia di una serie di visite del Nunzio tra il 1942 – 43 nei campi di prigionia umbri per verificare le condizioni dei prigionieri”.

Settant’anni fa, infatti, presso la frazione di Ruscio, nel comune di Monteleone di Spoleto, venne costituito un campo per prigionieri. Era il 1942 e in Italia solo da poco si era cominciato a sfruttare i prigionieri di guerra come forza lavoro, soprattutto presso aziende agricole, finché tale utilizzo venne disciplinato su larga scala dallo Stato maggiore dell’Esercito.

“C’era da tener conto della Convenzione di Ginevra firmata nel 1929 e ratificata nel 1931 – prosegue Nardelli – la quale vietava l’utilizzo di prigionieri di guerra per attività legate all’industria bellica. Nei campi di Ruscio e di Morgnano, dove i prigionieri lavoravano nelle miniere di lignite si aggirò l’ostacolo traducendo al lavoro soldati del disciolto esercito del Regno di Jugoslavia, i meno protetti dalle garanzie internazionali perché appartenenti ad uno Stato che non esisteva più”. In seguito – spiega ancora “a partire dal gennaio – marzo ’43, quando in risposta alle montanti richieste dell’industria nazionale di forza lavoro a basso costo, il ministero della Guerra pianificò l’uso intensivo di oltre 14.700 prigionieri, si dovette, per quelli impiegati nel sottosuolo, uscire dall’ambiguità. Si ricorse così ai cosiddetti internati civili, cittadini delle zone occupate della Slovenia e Montenegro rastrellati dalle truppe italiane e deportati oltre Adriatico. Morgnano fu svuotato dei prigionieri di guerra rimpiazzati da quelli civili, Ruscio fu declassato a campo per internati civili, trasferiti dal campo di Colfiorito”.

All’incontro di studio introdotto da Marina Angelini, sindaco di Monteleone di Spoleto e coordinato da Mario Tosti, presidente Isuc, interverranno Costantino Di Sante, direttore Iscop, Dino R. Nardelli, Tommaso Rossi, Isuc, Andrea Giuseppini, Audioc, responsabile del sito www.campifascisti.it.

AUTORE: Manuela Acito