Il grido silenzioso della tomba vuota

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia Domenica di Pasqua - anno A

In quel lontano mattino di Pasqua, quando ancora è buio e l’alba si sta appena affacciando da dietro il monte degli ulivi, si ode solo il grido disperato di Maria di Magdala e lo scalpitio di gente che corre. È “il giorno dopo il sabato”, l’alba di un giorno nuovo di inizio settimana, ma anche l’alba di un’era nuova. Sta cominciando la settimana di una nuova creazione, anche se ancora è buio nei cuori dei seguaci di Cristo. Presto spunterà la luce, come nel primo giorno di Dio creatore (Gesù si era definito “la luce del mondo” in Gv 8,12). Maria è andata al sepolcro insieme alle altre donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea e avevano vissuto i tragici eventi del Venerdì santo. Sempre loro, le donne, le più fedeli, presenti sotto la croce a conforto del Cristo morente, ma anche le prime testimoni di un nuova vita che nasce, le donne della morte e della nascita con il loro inesauribile amore materno.

Il Vangelo di Marco ci racconta che la sera del sabato, finito il riposo festivo, quando i negozi riaprivano i loro battenti, esse avevano comprato gli aromi per ungere il cadavere di Gesù (Mc 16,1). Matteo, Marco e Luca ci fanno sapere che già di buon mattino, impazienti di aspettare oltre, vennero alla tomba per quella loro amorosa operazione. Matteo, nel Vangelo di questa notte, ci ha raccontato che trovarono la pietra a forma di macina rotolata via dalla bocca del sepolcro. Seppero poi, dal racconto dei soldati messi a guardia della tomba, che c’era stato come un terremoto che aveva scosso la terra sotto di loro ed era apparso un angelo, dall’aspetto folgorante, a spalancare il sepolcro. A quella vista le guardie erano rimaste tramortite ed erano fuggite (Mt 28,1-4). Tutto questo però le donne lo sapranno più tardi.

Giovanni ci dice che al loro arrivo trovarono solo il sepolcro aperto e la tomba vuota. Maria di Magdala tornò subito indietro di corsa e venne a gridare a Pietro e agli altri apostoli il suo spavento e la sua angoscia: “Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno posto”. Parla evidentemente anche a nome delle sue amiche, che sono rimaste immobilizzate dal dolore davanti alla tomba vuota, con quel suo plurale collettivo: “non sappiamo”. Dietro quella donna impazzita di dolore corrono al sepolcro Pietro e Giovanni, l’apostolo che Gesù amava. Il racconto tradisce una concitazione straordinaria con i suoi verbi. Maria si recò già fremente al sepolcro e poi corse da Simon Pietro e dall’altro discepolo; questi uscirono e correvano tutti e due; l’altro discepolo corse più veloce e arrivò per primo alla tomba, ma attese Simon Pietro che arrivò dopo.

L’evangelista vuole dirci che ci fu una ricerca affannosa suscitata dall’affetto per il loro maestro tanto amato. Non è tanto la ricerca di un cadavere, ma della persona del Figlio di Dio tragicamente scomparso due volte, una con la morte e l’altra dal sepolcro. È una ricerca spirituale più che un’indagine materiale, una rincorsa sulla via della fede, non sul sentiero che porta al sepolcro. Finora “era buio” nel loro cuore, più che nel cielo sopra di loro; dal momento del loro arrivo e del loro ingresso nella tomba vuota, si comincia a far giorno anche dentro di loro. Il sepolcro era una grotta scavata nella roccia con un ingresso molto basso. Per entrare bisognava inchinarsi.

Il primo ingresso immetteva in un atrio che serviva da anticamera per la preparazione del cadavere; un secondo ingesso immetteva nella camera mortuaria dove, su una mensa di pietra, veniva collocato il morto avvolto in una sindone, con un sudario che avvolgeva il capo e con delle bende che gli tenevano ferme le gambe e le mani incrociate sul ventre. Simon Pietro entrò, insieme al suo compagno di corsa, nella prima e nella seconda stanza per costatare l’assenza del cadavere ed esaminare la situazione. Rimase perplesso nella sua ricognizione, perché vide il lenzuolo afflosciato ancora al suo posto con le bende legate intorno e il sudario ripiegato in un angolo a parte. Era come se il corpo di Cristo si fosse volatilizzato. Come avevano fatto gli eventuali ladri a sfilare via dai panni funebri il cadavere senza scioglierne i legami? E perché avevano perso tempo a ripiegare a parte il sudario? Tutto faceva escludere l’idea di un furto.

L’unica risposta a questi interrogativi era che Gesù avesse lasciato intatto l’involucro del suo corpo perché era risorto e viveva ormai una nuova vita, quella celeste, fuori delle normali dimensioni terrestri. Quella vita passata all’incorruttibilità non aveva più bisogno nemmeno di vesti. Nessun ladro del resto avrebbe portato via il corpo senza prendere con sé i panni che lo avvolgevano, anche perché quelle tele avevano un loro valore economico. Era spontaneo confrontare questa scena con quella delle risurrezione di Lazzaro e vederne le differenze notevoli. Anche Lazzaro esce dal sepolcro avvolto da quelle stesse tele funebri, ma deve esserne liberato da mani amiche che lo sciolgono. Lazzaro fu richiamato alla vita terrena di prima, Gesù entra in una vita nuova dove i parametri della vita materiale non valgono più. Egli esce dalla sue vesti funebri da solo e lascia quei panni come segno della sua resurrezione.

La tomba vuota di Cristo non è una prova diretta della sua resurrezione, tant’è vero che i suoi primi seguaci hanno pensato subito ad un furto di cadavere, ma diventa una testimonianza valida del risorto per la presenza di quei panni lasciati intatti al loro posto. Il sepolcro parla con i suoi segni. Qui iniziò la fede di Simon Pietro e di Giovanni, qui ebbe inizio l’annuncio pasquale che oggi risuona nella Chiesa. L’evangelista dice di sé che “vide e credette”: porta così la sua esperienza personale di fede; non poteva parlare a nome di Pietro, perché ogni persona fa ed esprime la sua esperienza di fede individuale. È solo un inizio di fede, che verrà confermata e rafforzata dalle apparizioni del Risorto.

L’evangelista dirà più avanti che Gesù, per convincere i discepoli sulla realtà del suo corpo risorto, si farà toccare mani, piedi e costato aperto (Gv 20,20.27). Allora aprirà la loro mente a comprendere le Scritture, perché nella tomba essi non le avevano “ancora comprese”. Così nascerà la professione di fede cristiana di tradizione apostolica, che Paolo trasmetterà ai suoi cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (1 Cor 15,3-4). Questa è la nostra fede, che ci assicura per il futuro la vita da risorti.

AUTORE: Oscar Battaglia