Il lavoro della psichiatria in tempo di pace? Capire i drammi delle famiglie

A collquio con Borri, direttore della Scuola di specializzazione in psichiatria

Le interviste sono ingestibili, eccitano, sollevano il problema ma non lo approfondiscono. Così il prof. Piero Borri, direttore della Scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università di Perugia in riferimento alla tv.Ma il problema, dinanzi a questioni così complesse come la salute mentale, riguarda anche la carta stampata. Con lui abbiamo parlato dei problemi di oggi, per cercare di capire perché accadono fatti terrificanti di figli che uccidono freddamente i genitori, di bambini che fanno violenza ad altri bambini e di adulti che violano i bambini e così via. Si potrebbe continuare a lungo nella “galleria degli orrori”, certo è che la reazione istintiva è riassunta nell’espressione “siamo in un mondo di matti”. Siamo in un mondo che cambia e nel quale cambiano tutti i riferimenti di valore che solo pochi decenni fa erano condivisi ed accettati. Cambia anche la tipologia degli “utenti” del Servizio di igiene mentale: la maggioranza soffre di ansia, depressione, panico. Patologie di relazione tra adulti più o meno sani e che potremmo definire di confine tra la malattia vera e propria ed il disagio esistenziale. “E’ un tempo di crisi, di cambiamento il nostro. Le persone sono sempre uguali, al fondo umane, ma le culture si distanziano nello spazio enel tempo. La maggioranza della gente non sta male, anzi migliora le proprie possibilità. La crisi generazionale, attraversa tutti i ceti sociali”. La legge Basaglia ha cambiato il modo di affrontare il malato mentale. Oggi cosa c’è ancora da cambiare? “Almeno due cose – risponde Borri – dobbiamo aumentare la qualità terapeutica delle comunità e la formazione degli operatori. Oggi occorre che gli operatori capiscano i drammi delle famiglie. E’ il lavoro da fare in tempo di pace: capire una violenza che è troppo sottile rispetto alla guerra”. Tutta colpa delle famiglie se i figli compiono gesti di una violenza incomprensibile? No, risponde Borri, “oltre alla famiglia ci sono tante altre cose e prendere un solo obiettivo può essere comodo ma non giusto”. Per capire la novità sociale e culturale del secolo che stiamo vivendo c’è un’altra strada. Il disagio psichico è più diffuso e il confine che separa i problemi psichiatrici dai problemi culturali è meno netto. Un esempio è la schizofrenia, malattia mentale tipica dell’ottocento, oggi solo dell’1% dei pazienti. La novità, dicevamo, è data dal lungo periodo di pace in cui l’occidente sta vivendo. “Un periodo storico interessante – dice Borri- perché non abbiamo le guerre. Siamo costretti a riflettere su questo, sulla normalità della vita in tempo di pace. In periodo di guerra ci sono meno malati psichiatrici: vuoi perché si muore di più ma anche per le particolari relazioni sociali che si creano. Questa del tempo di pace è una situazione “meditativa” in cui è possibile una crescita di civiltà, ovvero è affrontare i problemi in tempo di pace senza, quindi, il ricorso alla violenza”. Per farsi capire Borri si rifà al cammino secolare dell’occidente che nei secoli ha cercato di superare la barbarie inventando forme di convivenza in cui l’aggressività verso l’altro, il diverso, è stata diminuita aumentando l’interesse reciproco, il desiderio di conoscersi e quindi la capacità di accettarsi. Oggi certi metodi di soluzione dei conflitti sociali (si pensi al duello ottocentesco o alla vendetta o al delitto d’onore) non sono più accettati. La personalità umana si forma nella dinamica tra due forze psichiche che sono l’aggressività e l’amore. Potremmo anche chiamarle, spiega Borri, “realtà e durezza della vita” da una parte e “creatività e fantasia” dall’altra. Due forze che normalmente sono in un delicato equilibrio che può essere rotto dall’intervento di persone o dai fatti della vita. Insomma se anche siamo in un lungo periodo di pace la nostra società coltiva in sé la violenza, avverte Borri.Magari è meno visibile, nascosta nei rapporti familiari, oppure è organizzata e non risparmia vittime anche se apparentemente stanno al gioco. Situazioni nuove, dunque, ma non nei fatti quanto piuttosto nella loro comprensione che richiede un lavoro culturale di ricerca nel quale la psichiatria italiana sembra non essere neppure entrata mentre in altri paesi europei il discorso è già stato affrontato da anni. Il professore ormai vicino alla pensione e con una lunga esperienza accumulata in anni di lavoro vorrebbe poter avviare questa fase di “meditazione”, come la chiama. Affrontare la questione del rapporto tra psichiatria e società è un “problema culturale che chiama in causa l’Università come luogo di elaborazione di cultura e non solo tecnicismo. L’apertura mentale è ciò che l’università può insegnare, è la ricerca dell’altro, il vivere con l’altro. Si impara dal vivere con l’altro. In questa fase post-ideologica non dobbiamo scegliere una fazione. Siamo tutti nella stessa situazione di dover rendere meno aggressivi i rapporti tra la gente, far crescere la comprensibilità e l’ accettazione”. Ed è un lavoro per il quale occorrono risorse economiche che ci sono ma rischiano di essere “dirigistiche”. “Nella psichiatria la ricerca è volontaria perché la psichiatria è basata sulla capacità di incontro, è una gestione umana del paziente, non più manicomiale ma ambulatoriale”. I disturbi del carattere che nascono in contesto familiare e sociale. Per affrontarli occorrono competenza, umanità, tolleranza e vitalità.Ovvero scienza e cultura. Ed occorre lavorare in équipe tra psichiatri, psicologi e assistenti sociali. Una organizzazione che se è da migliorare, non è però pensabile abbandonarla. Lo psichiatra da solo non risolve tutti i problemi ma la fase acuta del disagio e della malattia.”E’ come rivolgersi al dentista per un dente – esemplifica Borri – ma, aggiunge, il problema reale ha radici molto spesso ambientali, familiari, affettive, sociali. Ed è questo che rende molto difficile anche la formazione di operatori che abbiano la stessa visione di una persona al centro di una serie di comportamenti. Il tentativo di unificare è il lavoro culturale che viene fatto oggi nelle équipe e nella ricerca è ciò che fanno coloro che hanno avuto grande esperienza”.

AUTORE: Maria Rita Valli