“Il mio posto è là”

Diocesi e Missione. Intervista a don Vittorio Lucarelli prima del suo rientro in Perù

Prima del ritorno in Perù, dopo una sosta in Italia di sei mesi, abbiamo avvicinato don Vittorio Lucarelli. Nato ad Umbertide il 30 dicembre 1962, ordinato sacerdote nel 2001, dal 2004 è parroco di Huacrachuco. Com’è la situazione politica adesso in Perù? Che rapporti ha con le autorità? “Formalmente siamo in una democrazia, ma, come spesso avviene da queste parti, è simbolo di corruzione, di vendita di risorse al miglior offerente. Nel mio piccolo paese (di 15 mila anime), ho sempre cercato un accordo con le autorità; ma si tratta sempre di un do ut des. Vieni tollerato perché aiuti quanti lo Stato abbandona!”.Com’è il rapporto con la religione? Come viene considerata la fede ? “La gente è legata ancora a credenze e superstizioni molto forti. Dopo la riforma agraria, si sente più libera, e non gli interessa tanto la religione, quanto l’economia, il possedere. Tanta gente si riavvicina, più che per fede, per ricevere aiuto materiale. E un’occasione da sfruttare da noi preti, cui tocca ricostruire la parte pastorale, spirituale. Ci vuole tanta pazienza e costanza”. Siete riusciti a dare una casa ai poveri dopo l’ultimo devastante terremoto? “Grazie all’aiuto di tanti amici e tanti benefattori dell’Italia abbiamo realizzato il sogno che padre Ugo De Censi (fondatore dell’Operazione Mato Grosso) aveva nel cuore: dare una casa alle persone che non l’avevano più”.Come sono divise le classi sociali? “La globalizzazione porta chi è ricco ad essere più ricco e chi è povero a essere più povero. A Huacrachuco tutta l’economia è ‘drogata’ dalla cocaina e dal narcotraffico in mano a poche famiglie. I più poveri sono comunque gli anziani; in parrocchia ne abbiamo a carico quarantuno. Poi ci sono i ricchi, che girano con jeep, fuoriserie, e vivono di operazioni illecite. Alla fine anche loro dovranno presentarsi davanti a Dio”.Qual è il maggior problema che insidia i giovani peruviani? “Con l’avvento di internet abbiamo portato il nostro ‘messaggio’ globale in tutto il mondo e abbiamo creato frustrazione, violenza, invidia, scontento in tanti giovani, che rifiutano ed allo stesso tempo invidiano gli stranieri. C’è poi il rischio del terrorismo, del traffico di droga, di armi e di tante altre cose… Da un’altra il desiderio della ricchezza alimenta una grande emigrazione verso quelli che i giovani sentono come veri e propri paradisi”. Cosa hai visto tornando in Italia in questi mesi? “Forse sarà colpa della crisi, ma ho visto persone meno generose, chiuse in se stesse, e questo non è bello, perché Dio passa attraverso l’amore dato ai fratelli. Ho visto anche tanti sacerdoti barricati in casa, mentre la gente ha bisogno di essere ascoltata, di parlare, di sfogarsi…”.La diocesi di Gubbio e l’Italia le ha tolte per sempre dal cuore o fa un pensierino di ritornare? “Il pensiero di ritornare non c’è. Sento che devo essere fedele al gregge che Dio mi ha dato e dove mi ha chiamato. Anche se le radici non si possono dimenticare: Gubbio è la mia diocesi. Ho dei buoni rapporti con il clero diocesano; il vescovo Mario mi vuole molto bene, è sempre gentile con me e cerca di darmi una mano nelle mie necessità. Sento vicina la mia diocesi di origine. La mia vocazione però è di stare in Perù in mezzo ai poveri, respirare quello che loro respirano, fare quello che loro fanno e cercare di aiutarli per quello che posso”. Don Vittorio ci lascia con queste parole, dandoci una lezione su quello che significa essere oggi cristiani e impegnati in prima linea. A presto, Vittorio, e con migliori notizie dal mondo che tanto ami!

AUTORE: Fabrizio Ciocchetti