Il paziente non è un “cliente”

MEDICINA. Il linguaggio economico non può cancellare quello “umano”

Una delle tendenze in atto in campo sanitario è quella verso la “aziendalizzazione” degli ospedali. Ne è derivata la nascita di “nuove parole della medicina”, legate al gergo economico, per cercare di tenere sotto controllo i costi. Ne parlaimo con il bioeticista Antonio G. Spagnolo. A cosa si deve questo fenomeno? “È sempre più comune sentire discorsi del tipo: ‘È urgente varare un piano industriale di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni e a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari’; oppure che i posti letto dell’ospedale rappresentavano la ‘capacità produttiva’ di quella struttura… Si tratta chiaramente di una terminologia di tipo aziendale, adattata a quelle ‘aziende’ particolari che sono gli ospedali e i sistemi sanitari in genere. Ciò è dovuto indubbiamente alla crisi finanziaria in corso”. Perché – a suo avviso – non è giusto parlare del medico (o del sanitario in genere) come “fornitore di servizi” e tantomeno del paziente come “cliente”? “Per un motivo semplice: questo cambiamento nel linguaggio della medicina ha conseguenze molto pesanti e deleterie sulle relazioni tra medici, infermieri, o qualsiasi altro professionista sanitario, e i pazienti di cui si prendono cura. Queste relazioni sono ora delineate fondamentalmente in termini di una transazione commerciale: il consumatore o cliente è il compratore, e il provider è il fornitore o venditore di un servizio sanitario. Non c’è dubbio che vi sia una sensibile implicazione finanziaria dell’assistenza clinica, ma questa è solo una parte marginale di tutta l’assistenza, e comunque per chi è malato questa è la parte meno rilevante. I termini ‘consumatore’ e ‘fornitore di servizi’ sono molto riduttivi e non tengono conto della dimensione spirituale, psicologica e umana della relazione tra professionisti e pazienti, relazione che rende la medicina una ‘vocazione’, nella quale la dedizione e l’altruismo dovrebbero mettere in secondo piano il guadagno personale in termini di gratificazione economica o di produttività aziendale. Ogni medico, infermiere, fisioterapista ecc. si è formato e ha acquisito delle competenze specifiche che non possono essere incluse nel termine generico di ‘fornitore’, che non rimanda affatto a una professionalità”. Pur di fronte alla crisi economica e ai grandi deficit degli Stati sovrani, quindi, non si giustifica una riduzione della medicina all’economia? “Ridurre la medicina all’economia rende una beffa il legame tra terapeuta e malati. Per secoli i medici che si sono mostrati attaccati al denaro sono stati pubblicamente sbeffeggiati in romanzi e opere teatrali, in quanto avevano tradito la loro vocazione. E adesso dovremmo celebrare il medico e la sanità che intendono massimizzare i profitti vendendo servizi ai ‘pazienti-consumatori’? I pazienti non sono consumatori, tuonava Paul Krugman dalla colonne del New York Times del 21 aprile scorso: trova che tutto ciò sia nauseante, e che la prevalenza di questo tipo di linguaggio sia il segno di qualcosa che è stato distorto non solo in questo ambito, ma più in generale nell’ambito dei valori della nostra società”. Alla luce di questa tendenza, che tipo di medico e di operatore sanitario si va formando per il prossimo futuro?“Se i futuri medici o specialisti sanitari saranno chiamati a ripensare i loro ruoli come quelli di ‘fornitori di sevizi’ che devono eseguire meramente indicazioni prefabbricate, le cosiddette ‘linee-guida’, diminuirà sicuramente la loro professionalità e inevitabilmente anche la loro responsabilità morale nei confronti dei pazienti. Allo stesso modo, ripensare alla medicina in termini economici e industriali difficilmente attirerà l’interesse di pensatori creativi e indipendenti con competenze non solo nella scienza e nella biologia, ma anche con un’attenzione autentica agli aspetti umani della cura. Terminologie del mercato e dell’industria possono essere utili agli economisti, ma non dobbiamo permettere che questo vocabolario ridefinisca la professione medica. L’introduzione delle scienze umane (bioetica, antropologia medica, storia della medicina, psicologia) nei primi anni del curriculum formativo degli studenti di medicina, come si è iniziato a fare ormai in molte università, potrebbe scongiurare questo pericolo”.

AUTORE: Luigi Crimella