Il punto. Sul Papa, altri fraintendimenti

Un importante organo di stampa “laico” (cioè anticlericale), ha elogiato Papa Francesco per aver detto che “le coppie conviventi sono valide come quelle sposate in Chiesa”. In realtà – i nostri lettori lo sanno perché La Voce ne ha parlato – il Papa non ha detto affatto questo. Ha detto che i parroci devono dedicare le loro cure pastorali a tutte le famiglie, anche a quelle formate dalle coppie conviventi. Il che non ha niente a che fare con lo svalutare l’essenza e gli effetti del matrimonio sacramentale. Torno sull’argomento non tanto per sottolineare la sciatteria con la quale certi ambienti intellettuali commentano le prese di posizione degli uomini di Chiesa – ne dicano bene o male – quanto per richiamare la necessità che noi stessi siamo attenti a capire se il Papa e i Vescovi parlano sul piano dottrinale o su quello pastorale.

La dottrina (nella quale possiamo ricomprendere anche la legge morale) ci presenta una scala oggettiva di valori; la pastorale è lo stile con il quale la comunità dei credenti e i ministri della Chiesa si rapportano con le singole persone, nessuna delle quali, per quanto apparentemente lontana, è fuori del progetto di Dio. Così, per quanto riguarda il matrimonio, la dottrina ci insegna che il sacramento è il mezzo con il quale Dio dona la sua grazia agli sposi perché essi si santifichino reciprocamente; e chi convive senza essere sposato si priva di quel dono. Ma questo non vuol dire che la Chiesa si debba disinteressare di loro – come non può disinteressarsi di chiunque altro, per quanto le sue scelte di vita apparentemente lo portino lontano. L’annuncio dell’amore di Cristo deve essere portato a tutti. Questa è la chiave di lettura che dobbiamo sempre adoperare per intendere il messaggio di Papa Francesco.

Un messaggio generoso e anche innovativo, perché in un passato non troppo lontano la Chiesa molte volte ha dato l’impressione di pensare che, una volta pronunciata la condanna del peccato e dei peccatori, il suo compito fosse esaurito. Questa fu la sensazione che suscitò, nel 1956, il vescovo di Prato con la pubblicazione di un documento di condanna canonica di una coppia che si era sposata civilmente, rifiutando il matrimonio religioso; dal che derivò un processo penale a suo carico. Io so – perché l’ho conosciuto bene – che quel sant’uomo aveva per le sue pecorelle la stessa sollecitudine di Bergoglio; ma era prigioniero del suo ruolo, come allora veniva interpretato. Sarebbe stato felice di vivere i giorni di Papa Francesco.

 

AUTORE: Pier Giorgio Lignani