Il sogno europeo compie 75 anni

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Robert Shuman

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”. Si apre con queste parole la dichiarazione Schuman. Era il 9 maggio 1950 quando a Parigi nel “Salone dell’Orologio” del ministero degli Affari esteri il documento veniva presentato dallo stesso Robert Schuman. Sono trascorsi 75 anni e queste parole se negli scorsi decenni hanno trovato attuazione all’inizio del percorso comunitario non trovano riscontro o lo trovano in piccola parte.

Perché allora fare memoria della Dichiarazione, perché fare memoria di colui che l’ha scritta e per il quale è in corso il processo di beatificazione? Perché fare memoria di quanti hanno condiviso e iniziato a tradurre in realtà il “sogno” europeo? La complessità di oggi rende difficile se non impossibile richiamare il valore educativo della memoria europea. Eppure, non se ne può fare a meno a patto di non ridurla a nostalgia, a narrazione fredda di fatti storici, oppure a insipide ovvietà.

Invece non se ne può fare a meno per non tradire il futuro. È più che mai necessario mettere in luce pur con il linguaggio di oggi l’anima dell’Europa, i valori e gli ideali che erano alla sua origine subito dopo la seconda inutile strage mondiale. Valori e ideali che hanno profonde radici nel cristianesimo, in quel dialogo tra fede e ragione che è scuola di una laicità che rispetta ed è rispettata. Una laicità che ha fatto dell’Europa “l’unità delle diversità”. Sono trascorsi 75 anni e il cammino appare interrotto, non si vedono oggi profili politici, umani e spirituali come quelli dei padri e dei loro immediati successori. Neppure si vede una grande passione popolare europea.

Dalla dichiarazione Schuman viene a questo punto un segnale di speranza: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Chiaro l’invito a non stancarsi di pensare un’Unione europea rinnovata, di rimuovere quelle pietre d’inciampo che gli egoismi nazionali hanno posto e pongono sul suo cammino. Non c’è in gioco solo il suo futuro ma il futuro del mondo è in bilico. Con questa preoccupazione

Schuman scriveva: “l’Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano”. Questo purtroppo non è avvenuto o è avvenuto in minima parte mentre si è dato spazio a una rincorsa alle armi che non è la difesa comune europea pensata come frutto di una politica fondata su valori e non su una cultura bellicista. La strada è ancora lunga e difficoltosa ma rinunciare a percorrerla sarebbe tradire il futuro. A coloro che negli ultimi tempi della sua vita, chiedevano a Robert Schuman cosa fosse meglio fare di fronte agli errori e ai ritardi si sentivano rispondere “Continuer, continuer, continuer…” nella direzione della pace, della solidarietà, del bene comune. Del “sogno” di Schuman parlò papa Francesco nel ricevere il Premio Carlo Magno il 6 maggio 2016 in Vaticano e così, nove anni fa, così concluse il discorso: “Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.

Paolo Bustaffa

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