Il ‘suono’ della croce

Pasqua. I canti processionali

Un repertorio di grande interesse e ancor oggi ben vivo, legato alla Settimana santa, è quello dei canti polifonici processionali, che vengono cantati nelle processioni del Cristo morto per il Venerdì santo da cantori penitenti. Sono rievocazioni pasquali che si possono ancora ammirare, vive nell’uso popolare, nei comuni di Costacciaro, Fossato di Vico, Gualdo Tadino, Gubbio, Città di Castello, Sigillo e Valfabbrica e in molti altri Comuni umbri dove la tradizione è ancora molto sentita, conservata con devozione dalle confraternite locali e nel cuore degli abitanti. Il canto che accompagna questo evento, e che si tramanda oralmente fin dal XIII secolo, è il Miserere, un canto penitenziale eseguito a più voci: a Costacciaro è riproposto da un coro femminile che accompagna la processione nel piccolo borgo medievale. A Fossato di Vico, il dramma del Venerdì santo rivive in una affascinante processione in costume che coinvolge tutto il territorio e che parte dalla chiesa di San Benedetto e si conclude presso il castello della città, ripercorrendo i vari episodi della Passione di Cristo. Anche a Sigillo la processione si svolge per le vie del paese; inizia dalla chiesa di San Agostino e poi fa sosta nella chiesa delle Monache e al cimitero esi conclude di notte, ricordando la morte di Gesù con stupendi giochi di luce. Mentre a Gualdo Tadino la processione si articola per le vie del centro storico e racconta, attraverso 14 quadri e 200 personaggi, la Passione di Cristo; inoltre ad accompagnarla insieme al miserere viene intonato il Cantico delle laudi sacre, un canto ricco di pathos che risale al 1200. A Valfabbrica si assiste invece alla rappresentazione della cattura di Gesù nell’orto degli Ulivi, del processo, della flagellazione e della crocifissione. L’origine della processione risale ai movimenti laici penitenziali che sorsero nel XIII secolo soprattutto nell’Italia centro-settentrionale e che diedero vita a numerose confraternite, come quella dei Raccomandati a Gualdo Tadino e la confraternita dei Disciplinati di Sigillo per quanto riguarda l’Umbria. Il Miserere accompagna la processione nel suo svolgimento; il testo latino a cui si ispira il canto è quello del salmo composto da David termila anni fa ed esprime profondi e sinceri sentimenti di pentimento e un desiderio di purificazione. Della musica non si conosce l’autore ma il canto è sopravvissuto per secoli, tramandato per via orale. La processione per il Venerdì santo che gode di una maggiore considerazione è quella svolta a Gubbio, da sempre curata ed organizzata dall’antica confraternita di Santa Croce della Foce che ha sede nell’omonima chiesa. I membri di questa confraternita sono ancora chiamati ‘sacconi’, nome che deriva dal grande saio che indossano ancora oggi in occasione di cerimonie e processioni. Si tratta anche qui di una rappresentazione della Passione che viene eseguita da due gruppi, uno detto del Cristo Morto, che precede la statua del Cristo, e un gruppo della Madonna, che precede la statua della Madonna Addolorata. La processione percorre le strade cittadine illuminate dalle torce: nessun luogo viene dimenticato, dai conventi della città viena poi fatta una sosta nell’ospedale come gesto di conforto e speranza. Tradizionalmente si accendono dei falò in varie parti della processione, piazza San Pietro, via Dante e largo San Marziale, in segno di purificazione e richiesta di perdono a Dio. Questo rende tutto più seggestivo.La processione del Cristo Morto è molto sentita dalla confraternita della Croce e i suoi ‘sacconi’ fanno prove durante tutto il periodo di Quaresima due volte a settimana alle 9 di sera, girando per la città, anche per cercare di avvicinare i più giovani a questo vero e proprio dramma liturgico. In passato, un altro episodio suggestivo era la tradizionale partecipazione del pubblico al canto del Miserere. Il canto era intonato dai cantori della confraternita che eseguivano le strofe dispari del testo e la gente rispondeva all’unisono cantando le strofe pari, in un coro omogeneo che sembrava una sola voce; tradizione che purtroppo è andata perduta.

AUTORE: Salvatore Cerniglia