È stata un’esperienza forte, da far conoscere e condividere, quella vissuta dal gruppo della Caritas diocesana con il pellegrinaggio a Palermo sulle orme del beato Giuseppe Puglisi. Commovente ed emozionante la visita alla tomba in cattedrale, alla parrocchia – San Gaetano in Brancaccio – e alla comunità che ha guidato per tre anni; alla sua casa davanti alla quale fu ucciso la sera del 15 settembre 1993 (dove don Armando Minelli e don Gabriele Pauletto hanno celebrato l’eucarestia); e la testimonianze di Giusy e Pippo, che lo avevano soccorso.
Gabriella e Tiziana, del Centro di accoglienza “Padre nostro”, fondato da don Puglisi e presieduto da Maurizio Artale, ci hanno poi guidato lungo le strade del quartiere Brancaccio e le opere-segno che Puglisi aveva sognato, realizzate dopo la sua morte grazie alla tenacia di chi ha raccolto la sua eredità: l’asilo, la scuola media, l’auditorium, il centro sportivo polivalente.
Artale ha ricordato il senso profondo del sacrificio di don Puglisi, ucciso perché aveva deciso di prendersi cura della sua gente senza ricorrere ai favori dei mafiosi locali (i fratelli Graviano, legati al boss Leoluca Bagarella), ma sollecitando l’impegno di tutti, in particolare delle istituzioni.
Ha descritto il sorriso di don Puglisi al momento della sua morte, quel sorriso che ha cambiato la vita del suo killer, il pluriomicida Salvatore Grigoli. “C’era una specie di luce in quel sorriso – confessava Grigoli nel 1999 -, che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre, quel sorriso…”.
Don Puglisi andò sereno incontro alla morte, accettata come il compimento di un percorso iniziato da bambino con la certezza che “se Gesù Cristo è con noi, chi è contro di noi?”. Il sangue del suo martirio è stato fecondo: in tanti hanno raccolto il suo testimone e continuano a operare in un contesto in cui il potere mafioso, ancora forte, non manca di mandare i suoi messaggi intimidatori. Qualche giorno prima del nostro arrivo era stato scaricato nottetempo dell’amianto sul terreno in cui il Centro “Padre nostro” ha progettato una struttura per anziani, forzando la porta d’ingresso del Centro, mettendo a soqquadro la presidenza, rubando il piccolo fondo cassa per le emergenze.
Così ci ha scritto, il giorno dopo, Maurizio Artale: “Vi chiedo un supplemento di preghiera affinché possiamo continuare a resistere, nonostante in questi giorni ci verrebbe di mandare tutto a quel paese”. Una richiesta che affidiamo alla sensibilità di tutti.