La Chiesa paga le tasse

Al rispuntare delle pretestuose polemiche sui presunti privilegi fiscali accordati alla Chiesa, la risposta del Presidente della Cei e del giurista Dalla Torre

Puntuale è ritornata nei giorni scorsi in Italia la polemica sui presunti benefici fiscali di cui godrebbe la Chiesa cattolica. Oggetto del contendere è il “patrimonio immobiliare” di diocesi, congregazioni religiose, Vaticano e così via, tutti impropriamente accomunati sotto l’etichetta “Chiesa e privilegi”. A scatenare l’ennesima polemica l’applicazione dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici), che dal prossimo anno verrà riformulata e dovrà essere pagata anche sulla prima casa. La tesi di chi scatena e cavalca periodicamente questa polemica è che “la Chiesa non paga l’Ici”. Ma è davvero così?

Non è un privilegio
“La Chiesa paga l’Ici! Occorre dirlo, visto che si parte sempre dall’assunto contrario. Eventuali casi di elusione relativi a singoli enti, se provati, devono essere accertati e sanzionati con rigore: nessuna copertura è dovuta a chi si sottrae al dovere di contribuire al benessere dei cittadini attraverso il pagamento delle imposte. Le tasse non sono un optional”. Intervistato dal Corriere della Sera, il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, smentisce la tesi di una Chiesa che evita il pagamento delle imposte dovute. E pure che vi siano impropri “privilegi”. “L’esenzione dall’Ici per talune categorie di enti e di attività – afferma – non è un privilegio. È il riconoscimento del valore sociale dell’attività che viene esentata e, cosa non secondaria, non riguarda solo la Chiesa ma anche altre confessioni religiose e una miriade di realtà no profit. Si tratta di chiedersi – ma qui credo che il consenso sia più vasto di quel che si creda – se il mondo della solidarietà debba essere tassato al pari di quello del business. A chi fa concorrenza una mensa per i poveri piuttosto che un campetto di calcio dell’oratorio? In ogni caso, ripeto: siamo disposti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti e delle attività no profit oggetto dell’attuale esenzione”.

Allo Stato conviene
“L’esenzione dall’Ici – precisa il giurista Giuseppe Dalla Torre – ha la sua ragion d’essere nel servizio sociale che la Chiesa garantisce attraverso le sue diverse realtà e che si traduce in mense per indigenti, scuole materne, case famiglia e di riposo, strutture di accoglienza per studenti e lavoratori fuori sede. Tutti servizi di alta rilevanza sociale che lo Stato non è in grado di gestire e, se lo facesse, li sosterrebbe a costi certamente più elevati di questi enti nei quali è attiva anche una forte presenza di volontariato, o addirittura in alcuni casi si svolge tutto su base volontaria”. Inoltre, si tratta di un “beneficio fiscale di cui gode non solo la Chiesa, ma anche la pluralità di organizzazioni ed enti ‘laici’, pubblici o privati, non commerciali e riconducibili al no profit”. Tale esenzione, in fin dei conti, rappresenta “un’agevolazione volta ad assicurare alle fasce più deboli della società, che diversamente verrebbero ulteriormente marginalizzate, una serie di servizi altrimenti inesistenti o più costosi. Si tratta di un sistema vantaggioso sia per la cittadinanza sia per lo Stato. Sotto il profilo strettamente economico è interesse di quest’ultimo continuare a consentire agli enti no profit di farsi carico di questi servizi”.

Testimonianza quotidiana
“Evitiamo di buttarla in politica”, chiede il Sir (Servizio di informazione religiosa) in una nota. “In una situazione oggettivamente grave, sollevare polveroni, ricorrere a vecchi schemi laicisti, giova solo a chi, alimentando risse ideologiche, vuole dimostrare di esistere, o vuole sviare l’attenzione da altro”. D’altra parte “i termini della questione sono evidenti” e l’esenzione “è riconosciuta solo per gli immobili non commerciali. Per gli altri la Chiesa o gli enti religiosi proprietari sono assoggettati, come tutti, a tassazione”. In secondo luogo, in un periodo di crisi e di riforme economiche destinate a pesare significativamente sui cittadini si chiede alla Chiesa di dare un segnale. Ma basta guardare ciò che viene fatto quotidianamente. “Dovremmo superare quel pudore che impedisce di parlare di quanto si fa generosamente, spesso in silenzio e tra enormi problemi”, riconosce il card. Bagnasco. “Le numerose iniziative d’intervento per le famiglie e per tutti coloro che la crisi sta mettendo in difficoltà – annota il Sir – sono scrupolosamente documentate e non solo quando sono messe in opera con fondi pubblici. D’altra parte le porte delle case della carità, delle aule di catechismo, dei gruppi parrocchiali, delle associazioni e dei movimenti, degli ospizi, delle parrocchie, degli oratori, dei musei diocesani, delle biblioteche, delle case famiglia e di migliaia di opere e iniziative che animano da sempre la nostra vita sociale, culturale e civile, sono sempre aperte per chi voglia toccare con mano e magari dare una mano”.

 

AUTORE: Francesco Rossi