La donna può costruire “ponti” tra privato e pubblico

Otto marzo: una festa che cambia insieme alla "questione femminile"

“Una festa della memoria”, da utilizzare “non in senso consumistico”, ma come “occasione di riflessione su come è cambiata, e come cambierà, la ‘questione femminile’, che ha ormai abbandonato i termini della rivendicazione per assumere quelli del contributo specifico che le donne possono dare a tutte le sfere del vivere civile”. Questa la definizione che Paola Ricci Sindoni, docente di filosofia delle religioni all’Università di Messina, dà della Festa della donna, che si è celebrata come di consueto l’8 marzo. In che modo il Giubileo ha “cambiato” l’immagine della donna? “Grazie anche alla grande rilevanza che ha avuto in termini per così dire ‘culturali’, e non solo spirituali, io credo che l’Anno Santo appena trascorso abbia in qualche modo ‘ridisegnato’ la fisionomia della donna, soprattutto andando oltre le categorie di uguaglianza e differenza che avevano caratterizzato il dibattito sulla questione femminile in questi ultimi decenni. A mio avviso, la donna nel nuovo millennio è chiamata sempre più ad essere ‘ponte’ tra la sfera privata e la sfera pubblica, tra la sua intimità ed identità personale e i diversi e molteplici ruoli che essa è chiamata a rivestire anche al di là delle mura domestiche. Un compito che le donne di oggi devono assumersi soprattutto per superare la grande confusione – e a volte anche il disagio morale – che attualmente esiste tra questi due ambiti, e per non cadere nei due eccessi opposti del ‘ripiegamento intimistico’ su se stessa o del ‘carrierismo’ a tutti i costi”. Parlare di questione femminile insistendo sulla “sfera privata” non può far correre il rischio di un certo “riflusso”? “Dipende, ovviamente, da ciò che si intende per ‘privato’: personalmente, non mi riferisco tanto alle mura di casa, quanto a tutto ciò che attiene alla sfera interiore ed intima delle persone, alla ricerca e al consolidamento continuo della propria identità di donna. Il pericolo, invece, è che oggi il privato – grazie anche ad un certo tipo di emancipazione femminile -tenda a sfumarsi fino a scomparire: che diventi, cioè, sempre più ‘pubblico’, dato in pasto o fagocitato, ad esempio, da un tipo di comunicazione (basta pensare a certi ‘talk show’) che vuole rovesciare il rapporto tra queste due sfere della vita di una persona, fino ad annullarne una delle due. La donna è abituata da sempre a vivere a più dimensioni: il lavoro, la casa, la famiglia, il sociale e il politico…Oggi, il rischio – per uomini e donne – è che non si sappia più coltivare il nesso tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’, il sentimento e le relazioni, il silenzio e la parola. E’ per questo che le donne devono essere sempre più quel ‘ponte’ di cui parlavo prima: un ponte che ristabilisca un equilibrio, in modo che nessun ambito venga mai assolutizzato, e che uno non sovraccarichi l’altro”. Quali sono, oggi, gli ostacoli principali ad una autentica realizzazione “al femminile”? “Oggi le dinamiche sociali richiedono un’omologazione del privato con il pubblico: le donne, in particolare, fanno fatica a vivere la dimensione del tempo, e rischiano più degli uomini di rimanere schiacciate in una delle loro dimensioni, senza più spazio per una reale autonomia, o senza alcuna alternativa al modello ‘maschile’ di realizzazione esclusiva sul lavoro. E’ difficile, in altre parole, evitare l’opposta assolutizzazione della donna in carriera o della donna ‘chiusa’ nella propria solitudine, incapace di affrontare ciò che è fuori da lei. Non ha senso, tuttavia, portare avanti la ‘questione femminile’ rivendicando degli spazi, oppure accettando la logica del totale ‘rovesciamento’ nel pubblico: bisogna ‘fare ordine’ tra gli ambiti in cui si vive, cercando in positivo di dimostrare di essere capaci di ‘gestire’ la propria vita con uno sguardo diverso, con una prospettiva utile al bene comune del genere umano, composto di uomini e donne”. Le cronache degli ultimi tempi portano alla ribalta anche figure di donne “violente”. Come farci i conti? “Il Papa, di recente, ha ribadito che la Chiesa è donna, evocando due immagini dell’Apocalisse, che simbolizzano due aspetti opposti della femminilità: la maternità e fecondità, da una parte, e la potenza ‘attraente’ del male, dall’altra. Di fronte alle cronache che parlano di ‘violenza’ delle donne, di fronte a storie come quella di Erika, io credo ci sia bisogno di un passo indietro dalle troppe parole, dalla tendenza al moralismo o alla demonizzazione. Bisogna rinunciare, in certi casi, a voler capire tutto fino in fondo, e alla tentazione della generalizzazione: ‘i giovani sono tutti così’….Il rifiuto della violenza, ormai, è un dato acquisito dalla società: anche gli adolescenti sono stravolti, di fronte alla tragedia di Novi Ligure. Per noi, è una lezione che chiede riserbo, e un supplemento di riflessione silenziosa. La donna, poi, per costituzione antropologica è portata prima a vivere, a testimoniare con coerenza, e poi a teorizzare: ha uno sguardo lungimirante che parte dalla vita stessa e solo dopo se ne distacca, attraverso la riflessione, per renderla qualcosa di più di un semplice flusso di ‘vissuti’…”.

AUTORE: M. Michela Nicolais