Fino a quel momento le religioni del mondo avevano scritto pagine tragiche di guerre e di scontri; avevano impegnato le intelligenze migliori per confronti dottrinali improbabili che dimostrassero il possesso della verità; nel migliore dei casi avevano stabilito tra loro taciti accordi di non belligeranza ma continuavano a guardarsi con diffidenza e sospetto.
Accovacciato sull’uscio della porta c’era sempre la tentazione del proselitismo e dell’espansione della propria influenza che faceva conto anche su patti non scritti con governi protagonisti dello scacchiere mondiale. Integrismi, fondamentalismi e fanatismi che arrivavano ad indossare i panni del terrorismo, erano comparsi come drammatica deriva che spesso diventava foglia di fico per ben altre mire.
È questo il fardello storico che gravava sulle spalle di san Giovanni Paolo II e di tanti capi religiosi fino a quel 27 ottobre 1986. Ma quell’incontro costituisce un profetico spartiacque al punto che quando ci si riferisce all’incontro tra le religioni si dice: “nello spirito di Assisi” o “secondo lo spirito di Assisi”.
Tutti gli altri passi in avanti che il dialogo interreligioso ha compiuto, sono il risultato di quella ispirazione dello Spirito. Dire inedito è troppo poco, perché si direbbe meglio inimmaginabile. Una proposta che non si limitò a scuotere le diplomazie religiose, ma diede il via a una serie di discussioni interne a tutte le confessioni che erano obbligate a fare i conti non tanto sulla convenienza o meno di accettare l’invito ma piuttosto sulla correttezza dogmatica di partecipare a quella riunione in faccia a tutto il mondo.
Papa Wojtyla fu inflessibile e determinato, pur contrastato da una parte della Curia e dei teologi che presentavano i rischi e le lesioni che quella scelta operava nel tessuto prezioso della tradizione.
A incoraggiarlo ci fu Roger Etchegaray, un cardinale francese di origine basca che all’epoca era presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace della Santa Sede. In Giovanni Paolo II era profondamente radicato il rispetto verso la coscienza degli individui. Una convinzione che espresse in maniera trasparente nelle parole dell’ultimo discorso della giornata tenuto nella piazza della Basilica di san Francesco: “Con gli altri cristiani noi condividiamo molte convinzioni, particolarmente per quanto riguarda la pace.
Con le religioni mondiali condividiamo un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli, e perciò a fare pace tra i singoli e tra le nazioni”.
La filigrana che san Giovanni Paolo aveva individuato per dare un’anima alla pace, alla volontà della pace, alla costruzione della pace era la preghiera che, pur espressa in una varietà mirabile di forme e linguaggi, è presente in ogni fede fino a costituirne la gemma più pura. Unire le voci nelle lingue e nelle liturgie più diverse resta impegno da raccogliere e portare avanti. È ciò che pensiamo di riuscire a fare come Commissione spirito di Assisi in un contesto profondamente mutato ma forse ancora più complesso.
Ci accompagni la forza di quel santo Papa che credette nella preghiera, nell’incontro e nel dialogo.