La frittata

di Angelo M. Fanucci

“Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà, cioè nella giustizia e nella pace”.

Lunedì 28 maggio 2018, di mattina presto. A la madrugada, dicono in Ecuador. Invece delle pinzallacchere che settimanalmente dedico ai miei diciassette lettori, ho citato l’orazione finale dell’ufficio delle letture di oggi. “Che gli eventi del mondo…”. Già, una parola!

Ieri e l’altra sera, nelle messe che presiedo a Santa Maria al Corso, allo striminzito gruppetto di fedeli (17, ovviamente) che celebrano con me la nostra liturgia domenicale, al momento della preghiera dei fedeli ho chiesto di pregare per il nuovo Governo. L’ho fatto a fatica, chiudendo sotto chiave i vari pensieri che dal 4 marzo affoltano le mie affaticate meningi, ma l’ho fatto. E fra me dicevo: “Dio mio, se la frittata debbono proprio farla, che sia il meno indigesta possibile”. E l’hanno fatta, indigesta quant’altra mai, domenica pomeriggio, quando il prof.

Conte è tornato a casa senza la coda fra le gambe solo per il fatto che non ha una coda. E a condirla adeguatamente, la frittata, ci hanno pensato Giorgia Meloni e Daniela Santanchè: Impeachment! Impeachment! Prontamente seguite dal ragazzaccio dei cinquestelle Di Battista e (ahimé!) dal vanesio Luigi Di Maio. Vanesio: culturalmente come ha detto Gene Gnocchi – è un fuori corso delle elementari, eppure aveva riservato a se stesso (si dovrebbe dire “avocato”, ma avrebbe capito?) il ministero dello Sviluppo economico ecc., il più impegnativo e più bisognoso di un titolare davvero competente.

E può darsi che insistano su questa smargiassata, che rimprovera al Primo Cittadino di aver esercitato un diritto (quello di mettere fuori lista almeno uno dei nomi proposti dal Presidente del Consiglio) che prima di lui è stato già esercitato tre volte, da altri Presidenti.

Che frittata! Hanno vinto le elezioni gettando in faccia alla gente affamata due offe completamente diverse l’una dall’altra. Programmi diversi, spesso incompatibili; loro li hanno fusi nel modo più semplice: scrivendoli uno dopo l’altro, con appena qualche aggettivo di meno e con qualche “forse” di più. Hanno conservato un minimo di pudore quando quel pastrocchio non l’hanno chiamato “Programma di governo”. Poi, dopo aver magnificato al di là di ogni senso del ridicolo quel loro accordo fra coinquilini abitualmente rissosi, affinché finisse nel cestino il lavoro fatto, del quale erano costretti ad ammettere la drammatica irrealizzabilità, hanno affidato il loro fallimento al prof. Savona: “Quindici giorni fa nemmeno lo conoscevo!” ha detto Di Maio. Quos vult perdere dementat: cercate un professore di latino che conosca il latino (ce ne sono!), e fatevi tradurre questa tristissima frase.