La Pacem in terris ha segnato “un punto di non ritorno”

Organizzato dalla diocesi di Orvieto-Todi e dal circolo Acli un dibattito sull'Enciclica

Pacem in terris. Un punto di non ritorno. Questo il tema dell’incontro che si è svolto presso la sala consiliare di Palazzo dei Sette ad Orvieto a cura della diocesi di Todi-Orvieto e del Circolo Acli di Todi. L’incontro, organizzato in occasione del quarantesimo anniversario della promulgazione dell’Enciclica di Papa Giovanni XXIII, ha visto la partecipazione dei vertici provinciali delle Acli di Perugia e Terni, del presidente nazionale delle Acli, Luigi Bobba e del vescovo diocesano, mons. Decio Lucio Grandoni.E’ stato proprio il prelato ad aprire la tavola rotonda, ricordando l’attualità della Pacem in terris, quarant’anni dopo la sua pronuncia, avvenuta il 16 aprile del 1963. In particolare, mons. Grandoni ha voluto sottolineare il coraggio e la decisione di Papa Giovanni XXIII, il quale, oltre ad essere stato il primo a parlare esplicitamente di pace in un documento ufficiale, ha voluto andare controcorrente, ospitando in Vaticano il suocero di Kruscev, spianando di fatto la strada all’abbattimento della cortina di ferro ed a quella ‘Ostpolitik’ della quale poi Giovanni Paolo II è stato il primo portavoce già con la sua stessa elezione. Inevitabile poi, il riferimento ai venti di guerra che stanno soffiando in questi giorni: “Papa Wojtila – ha sottolineato mons. Grandoni – è da sempre un grande costruttore di pace e lo è ancora di più in questo periodo nel quale c’è la sensazione che si stia andando incontro ad una guerra i cui motivi vanno al di là della semplice protezione del popolo iracheno, ma muovono da interessi di ordine economico”. Il presidente nazionale delle Acli, Luigi Bobba, ha invece diviso in due parti il suo intervento. Nella prima parte, Bobba si è soffermato sull’attualità della Pacem in terris ai giorni nostri: “Questa Enciclica – ha sottolineato – è stato un vero e proprio manifesto della stagione conciliare, un documento in qualche modo profetico che per primo ha saputo guardare al di là dell’orizzonte. E’ stato un documento innovatore perché per la prima volta l’Enciclica non è stata rivolta soltanto ‘ai cristiani’ ma a ‘tutti gli uomini e le donne di buona volontà’. Inoltre, la Pacem in terris è andata controcorrente, perché nonostante sia stata scritta in piena guerra fredda, con le risorse degli stati impiegate nella corsa agli armamenti, ha voluto proporre una nuova visione basata non più sul principio della deterrenza (cioè avere le stesse armi per evitare di entrare in conflitto) ma su quello della fiducia, invocando la pace. E’ stata l’Enciclica dei segni dei tempi, che ha saputo individuare le spinte dell’epoca: l’ascesa economica e sociale dei lavoratori, l’ingresso delle donne nella vita pubblica e l’inizio della decolonizzazione”. Nella seconda parte dell’intervento, Bobba ha centrato il discorso sulla pace e sulla necessità di dire ‘no’ alla guerra preventiva all’Iraq: “E’ un dovere dei cristiani – ha proseguito – farsi, come dice il Papa, sentinelle di pace, perché la guerra preventiva è sempre una guerra di aggressione ed è una menzogna affermare, come sostiene l’illustre politologo Ernesto Galli della Loggia, che il Papa è un anti-occidentale che si muove solo quando ci sono di mezzo gli americani, non interessandosi di altre zone come la Birmania o la Cecenia: il Papa ha fatto della difesa dei diritti inviolabili dell’uomo un fondamento ed è presente sempre, così come i cristiani sono sempre presenti in tutte le zone del mondo dove c’è necessità di portare la pace. La sola strada da percorrere è quella di reinvestire sulle grandi istituzioni internazionali e battere tutte le strade possibili, anche quelle inesplorate, senza rassegnarci al fatto che l’unica scelta risolutiva sia il ricorso alle armi: ci vorrà più tempo e più diplomazia, ma i risultati resteranno incisi per sempre nel tempo”.