“La Marcia della pace non è una processione, né una sfilata – diceva Aldo Capitini che la ideò, la propose e la realizzò per la prima volta il 24 settembre 1961: è un atto di popolo per la pace, un impegno personale e collettivo per un mondo nonviolento”. Ho ripensato molto a questa definizione nei giorni scorsi caratterizzati da manifestazioni diffuse per la pace in cui ciascuno ha donato ciò che aveva di più prezioso, il tempo e l’energia di uscire dal comfort della propria casa per scendere in piazza e dire col proprio corpo di porre fine al genocidio nella Striscia di Gaza.
La Perugia Assisi però è un’altra cosa, è valore aggiunto. Non attende una guerra per unire due città con un filo di umanità. È il segno di un impegno che si fa tutti i giorni in prima persona. Sempre Aldo Capitini infatti raccomandava: “Non si tratta di chiedere la pace agli altri, ma di cominciare noi stessi a viverla, a costruirla, a testimoniarla ogni giorno”.
È certo che le posizioni e la consapevolezza di quanti accorrono in Umbria per la Marcia sono sfumate e differenziate ma è altrettanto vero che il perno su cui Capitini poggiava l’iniziativa era la sua convinzione assoluta per la nonviolenza che “non è debolezza – diceva – ma la forza dell’amore verso tutti, anche verso chi ci ostacola e ci offende”.
