La storia di un campanile rotondo che non c’è più

Arricchiva la chiesa di S. Michele Arcangelo della famiglia dei Vitelli

Era uno dei (tanti, forse lo erano tutti in città) campanili rotondi di Città di Castello, e arricchiva quella chiesa di San Michele Arcangelo che, a tre navate, poteva essere definita una piccola cattedrale, comunque la chiesa dei Vitelli, e soprattutto di Angela De’ Rossi Parmense, sposa prima di Vitello e poi di Alessandro. Tutto sul campanile rotondo che non c’è più ha spiegato Eliana Pirazzoli nel corso di un originalissimo incontro, condotto dal presidente Silla Caldei, svoltosi straordinariamente proprio nella sala che il paziente lavoro di recupero del parroco don Tonino Rossi ha riportato alla luce e da cui si gode uno squarcio privilegiato di questo stupefacente rudere monumentale: per le dimensioni della circonferenza e lo spessore della muratura doveva essere molto alto e la sua importanza è citata dal Magherini Graziani e approfondita da Corrado Rosini. Il campanile, romanico di età successiva a quella del Duomo, devastato dai terremoti e dall’incuria umana, certo stava molto a cuore a questa enigmatica figura di donna di potere che l’illustre relatrice ha adombrato con dovizia di particolari sconfessando anche l’aura negativa che l’ha sempre accompagnata a causa di pregiudizi antichi alimentati dal racconto storiografico non sempre oggettivo del Corbucci; in realtà era una donna giovane, ricca, colta, tenace, intelligente, di innata eleganza, che portò nel capoluogo dell’Alta valle del Tevere almeno un po’ di quello splendore e di quella gioia festosa tipica della corte parmense. Di assoluto rilievo anche il fatto, testimoniato dal restauratore Giuliano Guerri, presente nella circostanza, del ritrovamento di vesti e accessori a lei appartenuti durante gli ancor oggi interminabili lavori di ristrutturazione di Palazzo Vitelli a San Giacomo, il Palazzo di Angela che lei aveva voluto preferendolo all’angustia dell’abbondanza e all’austerità della Cannoniera; e fu certo lei ad esercitare quel mecenatismo illuminato che fece della reggia vitellesca un riferimento rinascimentale di grande prestigio; una tavola del Parmigianino che la ritraeva in tutto il suo fascino è andata misteriosamente perduta proprio nei frangenti evocati in questa occasione; mille gli spunti indicati che, tra l’altro, inquadrano le vestigia artistiche ed architettoniche tifernati in chiave di derivazione emiliana più che fiorentina. Il calore e la simpatia dei collaboratori di don Tonino hanno infine contribuito a rendere memorabile una serata oggettivamente unica nel suo genere.

AUTORE: S.C.